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QUESTIONARIO MATERNITA’ 

analisi dati

 

 

 

 

Documento del 24° Convegno Nazionale di Prepos Novacana 11 e 12 febbraio 2017

IL DIBATTITO SU FEMMINILE E MATERNO

Liberare il “materno” dal “femminile” non significa per noi donne corrompere la nostra natura, la nostra femminilità, significa  considerare la maternità non collegata solo alla persona generante, che è biologicamente femmina, ma alla persona nutre con una particolare affettività, che è specificamente materna. Di conseguenza è biologicamente partoriente chi genera, ma è madre chi diventa in grado di sperimentare la specifica irradiazione affettiva del materno verso il cucciolo di uomo.

La maternità è un percorso di crescita della persona che si prende cura, che osserva, che sostiene e che sa stare a distanza, che non condiziona le scelte ma pone delle perplessità, che non si aggrappa ma prende per mano, che non consuma le emozioni, biologicamente e psicologicamente, indotte in lei dal cucciolo di uomo ma lo nutre con il sentimento materno.

Ciò implica una profonda distinzione tra il femminile e il materno, sia in senso evolutivo giacché il femminile maturo ed adulto raggiunge il traguardo del sentimento materno indipendentemente dall’aver generato biologicamente figli propri, sia in senso esclusivo ovvero laddove emerge il materno scompare il femminile e laddove è prevalente il femminile non può venire alla luce il materno.

Femminile e materno sono due stati dell’essere non sovrapponibili ma alternativi l’uno all’altro e disponibili come potenzialità di vissuti per la donna a seconda delle circostanze sociali e delle contingenze relazionali che ciascuna donna vive nella sua quotidianità.

La miscela tra queste due dimensioni dell’affettività è sempre altamente pericolosa sia quando la donna sceglie di essere materna nei confronti del proprio partner, sia quando sceglie di essere femminile nel rapporto con i propri figli e figlie.

Nel documento del convegno viene descritta l’evoluzione del materno attraverso tra grandi passaggi

DALL’ATTACCAMENTO ALLA AFFETTIVITÀ individuato nell’Eva Africana

DALL’AFFETTIVITÀ ALLA CONSAPEVOLEZZA individuato in Cornelia madre dei Gracchi

DALLA CONSAPEVOLEZZA ALL’AMOR SUBLIME individuato in Maria madre di Gesù

Emilia Scotto

 

 

LA RELAZIONE MATERNA AFFETTIVA,  CONSAPEVOLE E SPIRITUALE

La vita nasce dalla vita e il materno è culla della vita poiché consente a un’altra esistenza di differenziarsi per via epigenetica ovvero per apprendimento culturale che le madri trasmettono ai figli.

Il mitocondrio produce quell’energia biologica che ha consentito la nascita della coscienza umana attraverso la scoperta del “tu”. Quando Eva Africana, 30mila anni fa, scopri di amare quel cucciolo anche dopo la fine dell’allattamento nacque la prima relazione affettiva della storia umana. Quando, nel neolitico, l’uomo scopri che uccidendo i montoni le femmine non figliavano più, capì che accoppiamento e parto riguardavano anche lui e scoprì la paternità.

Quando l’essere figli della stessa madre generava invidia e gelosia prese forma la fratellanza, gerarchizzata però dal padre che, per essere certo della sua autentica discendenza biologica, impose l’archetipo della verginità e della eredità per primogenitura. Fin tanto che i fratelli scelsero di essere fraterni.

Un salto evolutivo della maternità appare oggi indispensabile per consentire alle nuove generazioni di esistere nella loro identità.

Il materno non è il femminile! Il materno evoluto andrà sempre più liberandosi dal gender se vorrà portare a compimento la differenziazione di un altro individuo nella autonomia della sua esistenza.

Le comunicazioni interumane vivono nelle emozioni trasmesse, le relazioni si esprimono mediante sentimenti che danno a loro sostanza, l’identità dell’anima appare al di là di queste connotazioni.

Obiettivo del convegno è la discussione sul superamento dell’ambivalenza dell’archetipo materno per una maternità evoluta che non si coniuga né nel femminile né nel maschile, tantomento in una delle 58 possibili sfumature articolate del gender.

 

EVA

L’Eva mitondriale, detta anche Eva africana, progenitrice della nostra specie e chiamata mitocondriale per il corredo genetico presente nei mitocondri trasmessi, viene datata con la tecnica dell’orologio molecolare fra i 99.000 e i 200.000 anni fa. La sua comparsa sarebbe dunque antidiluviana (la glaciazione Wurm sarebbe compresa tra i 110mila anni e i 20mila anni fa con il conseguente innalzamento del livello degli oceani di 150 metri)[1].

L’Eva mitocondriale ha un significato molto più ampio di quello genetico perché investe la prima ed indubitabile relazione interumana: quella tra madre e figlio. Tutte le altre relazioni, la paternità, la fraternità, la parentela, ecc., sono espressioni culturali ed implicano un precedente sviluppo della coscienza che consenta il riconoscimento di tali relazioni. La relazione con la madre, invece, avviene attraverso un rapporto che precede, e determina, lo sviluppo della coscienza umana.

La datazione dello sviluppo coscienziale della nostra specie è altamente problematico e può essere avvenuto circa 40mila anni fa mentre lo sviluppo cognitivo è molto più antico come mostrano reperti di utensili in pietra risalenti all’Africa Pliocenica di 3.3 milioni di anni fa. La relazione indubitabile con la madre è la condizione attraverso cui si sviluppa la coscienza, ovvero la sensazione della propria esistenza come individui, ed avviene probabilmente nel paleolitico quando l’Eva mitondriale scopre di amare il figlio anche dopo la fase dell’allattamento.

L’innesco dell’affettività materna ha prodotto il conseguente sviluppo della coscienza del “tu” e dell’”io” e un salto evolutivo senza precedenti.

Lo sguardo materno, empatizzato dal cucciolo di essere umano, ha prodotto la proprietà fondamentale della coscienza, quella di vedersi dall’esterno senza perdersi e cioè la sensazione di esistere. L’affettività supera la simbiosi e va verso l’autoriflessività perché consente la separazione senza l’angoscia. Lo sguardo materno è la base sicura per il sé del cucciolo che, in assenza di tale contatto affettivo, può inibire la sua futura consapevolezza manifestando in futuro criticità emozionali evitanti o dipendenze o sensi di colpa dirompenti e dissocianti.

L’assenza di consapevolezza, qui intesa al suo primo livello come un semplice automonitoraggio dei propri vissuti, è infatti tipica:

1)             degli adulti chiusi, silenziosi ed introversi che non sanno fa percepire la loro presenza agli altri, che non comprendono emozioni e sentimenti mostrandosi opachi a se stessi ed agli altri e privi di manifestazioni affettive (attaccamento evitante della madre).

2)             di adulti dipendenti e ansiosi incapaci di percepire sazietà affettiva e di reggere distacchi prolungati, convinzione di non essere amabili ed incapacità di lasciarsi voler bene (attaccamento imprevedibile, insicuro, ansioso e ambivalente).

3)             di adulti spaventati, dissociati, paranoici o borderline che non hanno ricevuto chiari segnali di accettazione e che manifestano confusione nei loro atteggiamenti perché non sanno se sbagliano o dove sbagliano ed attribuiscono a se stessi la colpa di essere sbagliati (attaccamento disorganizzato).

Tali condizioni peraltro sono sempre state tipiche degli umani primitivi dell’antichità, ma anche della contemporaneità indipendentemente dal sesso, etnia, cultura, istruzione, religione o classe sociale. I principali residui primitivi generati dall’attaccamento insicuro sono diffidenza, impeto d’ira, amor proprio, dispetto, indifferenza, estraniazione e collusione, tratti di personalità che possono diventare psicopatologie se le persone non diventano consapevoli dei loro copioni e li superano attraverso un riesame delle relazioni primitive che li hanno determinati.

L’attaccamento insicuro fornito al cucciolo dal caregiver inibisce lo sviluppo dell’affettività e l’estensione della coscienza. Questo accade nelle madri o i caregiver anaffettivi a seguito degli archetipi ambivalenti che sono stati installati in loro: la supermamma, la madre simbiotica, la madre complice, la madre innamorata incestuosa, la madre dominante, la madre distaccata, la madre iperprotettiva, la madre rivale, ecc. a seconda delle convinzioni, delle tradizioni e degli archetipi vigenti  nell’esercizio del potere domestico.

Tali madri o caregiver non riescono a produrre un attaccamento sicuro mediante quell’esplicita affettività che innesca un flusso reciproco di riconoscimento e, oltre a generare riflessività relazionale, espande le aree della coscienza.

La caratteristica fondamentale dell’Eva africana è l’aver superato l’attaccamento biologico ed aver sperimentato il flusso affettivo. L’attaccamento infatti non è un fenomeno esclusivamente umano ma interviene in tutti i processi di allevamento da parte degli animali della loro prole in assenza di coscienza, seppur in presenza di cognizione e di intenzionalità.

Il superamento dell’attaccamento biologico mediante flusso affettivo funziona anche tra esseri umani e specie animali e può non essere simbiotico. Il flusso affettivo che muove dall’essere umano verso un animale determina in quest’ultimo una forma di accumulazione dell’affettività ricevuta con conseguenteimprinting, bisogno della vicinanza affettiva e preferenza per la figura di attaccamento su cui si fonda la domesticazione e l’addestramento.

L’irradiazione affettiva ha dunque un ruolo determinante nella nascita delle relazioni interumane e su di essa si fondano tutte le tappe evolutive della nostra specie attraverso la “consegna del testimone” al padre, ai fratelli, ai nonni, ai parenti. La buona mela che Eva passa ad Adamo rappresenta la condivisione del flusso affettivo della madre con il padre, i fratelli e tutti i sistemi di relazione che riescono a godere di questa proprietà.

Il passaggio del gusto evolutivo dell’affettività interumana avviene attraverso lo sviluppo dell’empatia ma si interrompe laddove l’egocentrismo evitante, dipendente o strategico ne inibisca le potenzialità.

 

CORNELIA

Cornelia (189-110 avanti Cristo) fu madre di dodici figli, ma gli unici che arrivarono alla maggiore età furono i due famosi Tiberio e Gaio Gracco, e la loro sorella maggiore, Sempronia, moglie di Cornelio Scipione Emiliano.

Cornelia è un emblema del passaggio dall’affettività alla consapevolezza. Tra milioni di madri che giungono a tale stadio la scegliamo come simbolo per tre motivi: 1) il fatto di scegliere di esser madre e non figlia, 2) il valore attribuito ai figli, 3) l’insegnamento di giustizia e libertà trasmesso a Tiberio e Caio.

1) Cornelia rifiuta di essere conosciuta come figlia di un uomo importante ed eroico come Scipione l’Africano che sconfisse Annibale e ripetutamente dichiara: “Fino a quando mi indicheranno come la figlia di Scipione? Quando potrò chiamarmi la madre dei Gracchi?”. Con tale iscrizione le verrà dedicata dai Romani del II° secolo avanti Cristo la prima statua di una donna nel Foro con l’iscrizione “Madre dei Gracchi”.

2) Rimasta vedova ancora giovane rifiuta di risposarsi nonostante le numerose proposte anche molto allettanti come quella di  Tolomeo VIII Evergete, re d’Egitto. L’aneddoto centrale della sua storia resta la sua risposta a una matrona che ostentava le sue pietre preziose:  “Haec ornamenta mea!” (ecco i miei gioielli!) mostrando i suoi figli Tiberio e Gaio.

3) Il suo cenacolo famigliare nutre la filosofia ellenistica che si presenta come una istanza politica di riforma sociale e culturale. Siamo in una Roma feroce e primitiva, che non riesce a trasformarsi in Stato attraverso riforme ugualitarie[2] e che è percorsa di frequenti insurrezioni delle quali la più importante avverrà, 60 anni dopo, ad opera di Spartaco.

Le caratteristiche di Cornelia ci fanno individuare una relazione affettiva con i figli che si traduce in consapevolezza educativa. La dimensione della consapevolezza è quella che conduce ad una maternità guidata da valori.

L’evoluzione della coscienza verso la consapevolezza guida l’affettività in senso cognitivo, emozionale e operativo incanalandola nello spazio esistenziale e relazionale dell’essere umano.

La coscienza è infatti una tappa evolutiva intermedia per sua stessa natura. La coscienza non può occupare tutto lo spazio della mente, neanche quando siamo svegli, non interviene necessariamente nel parlare, nello scrivere, nell’ascolto e nella lettura, non è nemmeno la sede della ragione, anzi i pensieri più creativi fanno a meno della sua presenza. “Noi siamo coscienti meno a lungo di quanto pensiamo, perché non possiamo essere coscienti di quando non siamo coscienti”.[3]

L’evoluzione della coscienza verso la consapevolezza apre gli orizzonti psichici e relazionali che servono per osservare se stessi e per rappresentare il proprio mondo soggettivo che è a se stante rispetto al mondo reale. La consapevolezza di sé, del proprio corpo, delle proprie potenzialità e dell’essere persona è una conquista molto recente dell’evoluzione umana.

La mente dell’uomo era bicamerale (così Jaynes definisce l’uomo senza connessione tra emisfero destro e emisfero sinistro) scissa in due parti: 1) nel flusso dell’accadere delle cose del mondo senza autorappresentarsele; 2) nell’ascolto della sorprendente voce interna, attribuita agli dei, che compariva simile ad un’allucinazione uditiva.

Sempre secondo J. Jaynes, l’uomo passa dalla mente bicamerale[4] alla consapevolezza nel secondo millennio a.C. con l’inizio dei commerci, l’aumento della popolazione, l’avvento della scrittura, il caos migratorio ecc., che conduce allo sviluppo di nuove aree cerebrali che giungono al traguardo del socratico “conosci te stesso”.

La maternità di Cornelia esprime tre valori tipici della consapevolezza.

– Il primo è l’adultità, e cioè la condizione di libertà dalla dipendenza dai genitori. Per essere madri consapevoli occorre aver riconosciuto dentro di sé la voce della propria madre ed averne preso le distanze. Fino a che una madre pensa a cosa penserebbe sua madre la commistione delle voci interiori è deleteria giacché non vi è spazio per le proprie decisioni autonome di maternità ma c’è solo obbedienza dipendente o opposizione conflittuale.

Il comandamento con cui si apre la seconda tavola della legge ebraica recita “Onora il padre e la madre, perché si prolunghino i giorni nel paese che ti da il Signore Dio tuo”. Onorare è il contrario dell’amore dipendente dai genitori perché, semmai, invita i figli a far si che i genitori siano orgogliosi dei figli. I figli diventano liberi ed adulti e si occupano dei vecchi genitori che, con l’aiuto dei figli, possono  prolungare i loro giorni. Sono semmai i vecchi genitori a diventare dipendenti dai figli e non il contrario se non si vuol cadere nella manipolazione educativa che sgretola l’identità individuale o nella genitorializzazione (diventare genitori dei propri genitori senza essere transitati nella fase della consapevolezza della propria individualità.

– Il secondo valore è l’esposizione dei figli al mondo. Cornelia non si conforma a quello che dice la gente, ovvero non cresce i suoi figli nell’ipocrisia di nascondere i loro difetti e non cade nella trappola della rivalità tra madri su chi ha i figli “che vanno meglio a scuola!”. Non si pone cioè il problema di ben figurare nel suo contesto relazionale e di presentare i suoi figli come emanazione di se stessa. Non ha bisogno di conferme dalla società e dalle altre madri. Tiberio e Gaio sono i suoi gioielli e li presenta esattamente per come sono, senza abbellimenti e rappresentazioni. E’ consapevole di amarli e sa che il suo amore li rende belli.

– Il terzo valore è quello di consentire il ruolo personale dei figli nel mondo anche se ciò li espone al rischio della morte. Cornelia trasmette la cultura ellenistica ai figli in contrasto con la primitività violenta del potere a Roma. Guarda i rapporti tra uomini con gli occhi del futuro e rispetta la loro personale missione. Questa consapevolezza educativa è l’assoluto contrario della manipolazione, ovvero del costringere con messaggi impliciti ad essere ciò che la madre vuole che i figli siano.

Cornelia vive un amore consapevole verso i figli che si traduce nella presenza affettiva (non li abbandona), non li opprime (facendoli bersaglio di continue critiche) ma li accetta nella loro bellezza e, soprattutto, non li manipola conducendoli la dove non scelgono di andare.

Queste tre dimensioni sono indispensabili per poter evolvere dalla femminilità alla maternità (così come dalla mascolinità alla paternità) e descrivono un atteggiamento materno in lotta contro gli archetipi inconsci o trasmessi dalla cultura. Ove prevalgano gli archetipi si impedisce ai figli di andare verso la realizzazione della propria vita e, soprattutto, di costruire autonomamente l’identità collettiva della loro futura famiglia.

Manca però a Cornelia, ed a tutte le madri in crescita lungo la via della consapevolezza una visione della spiritualità affettiva del rapporto con Dio.

L’immaginazione spirituale dell’uomo antico costruiva divinità a somiglianza delle sue emozioni (l’amore, la fertilità, la guerra, ecc.) e dei suoi archetipi ambivalenti che contenevano rappresentazioni terribili ed incombenti di dei crudeli, punitivi e vendicativi nei confronti dell’essere umano. Dei a cui offrire sacrifici affettivi anche estremi per ingraziarseli come fece Abramo nel sacrificare Isacco fermandosi all’ultimo momento con l’intuizione che Dio non poteva volere quel dolore straziante.

La consapevolezza ha a che fare con l’esperienza dell’irradiazione affettiva divina mediante l’auto osservazione delle nostre componenti spirituali. La consapevolezza conduce all’innesco della relazione con Dio attraverso un vero e proprio esercizio spirituale volontario[5].

La transizione verso questa forma mentale di consapevolezza nella relazione con Dio è ancora in corso. Non siamo più sottomessi a oracoli, culti, medium, astrologi, possessioni, tarocchi, maghi, sciamani, danzatori, ipnotismi, meditazioni, caste sacerdotali  ecc. Questi non sono altro che residui di una forma mentale primitiva da cui stiamo evolvendo grazie ad una fanciulla di Nazareth di nome Maria diventata mamma.

 

 

MARIA

Il salto evolutivo avvenuto in Maria al momento del concepimento è molto più grande e misterioso della mutazione indotta da Eva mitocondriale ed anche della razionalità educativa e valoriale di Cornelia, poiché riguarda il legame tra psichismo e dimensione spirituale.

Non mi sono mai posto con attenta meditazione il problema della verginità di Maria perché l’analisi razionale, svolta con onestà intellettuale, della predicazione di Gesù sulle caratteristiche affettive e paterne di Dio mi ha da tempo dato risposte più che convincenti sulla manifestazione del divino nell’uomo Gesù.

Ho sempre considerato la verginità di Maria un elemento del tutto secondario proposto con insistenza per ovvie ragioni di repressione sessuale. Che importanza ha di chi è biologicamente figlio Gesù!, mi sono sempre detto. Ho sempre letto la dimensione immacolata di Maria, nata senza il peccato originale, una condizione del tutto marginale rispetto al suo ruolo gigantesco nella storia dell’umanità; ho infatti sempre attribuito alla concezione di un Dio punitivo sia il peccato originale (peraltro mai menzionato nel Vangeli) che la cacciata dell’uomo dal paradiso terrestre. Il senso di colpa, specie se associato all’angoscia di morte, è un buon meccanismo di controllo sulla vita degli esseri umani e, comunque, ha avuto anche funzioni positive nel fermare la mano ai potenti ed ai prepotenti.

Alla luce dell’evoluzione della coscienza e dello sviluppo della relazione con Dio la vicenda di Maria di Nazareth mi appare oggi come la prima occasione nota nella storia umana di trasformazione dell’affettività psicologica in sostanza di amore spirituale.

 

L’accettazione dell’oceanica empatia di Dio

Il processo di amore di Maria per Dio è dapprima consistito nella accettazione e poi nella disponibilità a ricevere: E’ molto più facile amare che lasciarsi amare soprattutto quando ad amare è l’oceanica empatia di Dio.

Ho imparato cosa significa accettazione nei momenti di maggior distacco da me stesso, ad esempio quando una sensazione estatica vissuta in condizioni ditrance meditativa (con ritmi cerebrali superBeta o Gamma o forse Lambda) mi sfuggiva di mano perché cercavo di andare a verificare razionalmente se ciò che sentivo era davvero vero. Ma anche quando mediante rilassamento entravo in ritmi theta o delta, per non sentire i forti dolori del cancro ed ho progressivamente imparato che, nel momento in cui riesci a non percepire il dolore, non devi commettere l’errore di andare con la mente a verificare se davvero se ne è andato. Se lo cerchi, lo trovi in tutta la sua acuzie!

Accettazione dunque è uno stato di totale disponibilità verso aperture sensoriali diverse da quelle quotidiane e sperimentate attraverso i cinque sensi.

Maria accetta una relazione diretta con Dio totalmente nuova per l’umanità e conosce la felicità su questa terra. Per questo la testimonia e la caldeggia. Ma oltre all’accettazione accade la più importante mutazione evolutiva dell’umano che prende in sé il divino: il concepimento.

Non siamo in grado di individuare i meccanismi biologici con cui tale mutazione può essere avvenuta senza il crossing-over cromosomico della ricombinazione di due diverse eliche del DNA ma sappiamo con certezza che questa mutazione può avvenire. Può essere perniciosa quando le rotture del doppio filamento, a causa di agenti ossidanti, alchilanti e radiazioni ad alta energia, come i raggi X e gli UV, producono molecole cancerogene. Può essere evolutiva quando il DNA, alterato dall’azione mutagena, si fa spazio nella fittissima rete cellulare altamente selettiva e produce un organismo arricchito dalla mutazione.

Ancora una volta nella storia umana è la maternità il luogo prescelto per la mutazione. Questa relazione interumana originale e assolutamente indubitabile e inviolabile da qualunque contaminazione culturale archetipica, si è presentata come il miglior luogo di incontro possibile per la relazione con Dio.

Da questa lettura nel linguaggio scientifico contemporaneo discendono altre considerazioni:

 

La verginità

L’insistenza della tradizione sulla verginità di Maria non sarebbe legata ad un processo di repressione sessuale e di obbligato candore della giovinetta che non “ha conosciuto uomo”, ma tende a dichiarare la mutazione (come la possiamo chiamare oggi) avvenuta in lei nel contatto empatico con Dio. Il fatto che tal concepimento sia una straordinaria mutazione nella nostra specie viene sottolineato dalla verginità di Maria, accertata dall’ostetrica Salomé al parto[6]. Con ciò voglio affermare che tale concepimento divino sarebbe potuto avvenire anche se lei non fosse stata vergine. E’ lo straordinario e incredibile concepimento che trae sostegno dalla sua verginità e non la verginità in sé come valore. Nella successiva generatività dei probabili fratelli di Gesù, considerati fratellastri (figli di un precedente matrimonio di Giuseppe)  o cugini[7], è verosimilmente impossibile che la ginecologica verginità di Maria si sia mantenuta.

 

Il concepimento

Non sono un teologo ma l’interpretazione della frase in linguaggio occitano “Que soy era Inmaculada Conception” che viene utilizzata a dimostrare quasi esclusivamente l’assenza del peccato originale in Maria, non mi ha mai del tutto convinto perché, se così fosse, la frase pronunciata sarebbe stata diversa e cioè “Io sono stata concepita immacolata”. Mi sembra che il suo significato sia invece da intendersi in modo molto più letterale: “Chi io sono è stata il concepimento immacolato”. Ovvero: “La mia precipua caratteristica è stata quel concepimento che significa: Io sono la prova della possibilità dell’esistenza di un processo riproduttivo della vita, della affettività materna e dell’amore spirituale senza contaminazioni primitive”. In altre parole ancora: il fondamento precipuo della mia identità di persona sta nel fatto di aver concepito un figlio senza aver avuto un rapporto sessuale riproduttivo. E non perché nel rapporto sessuale ci sia qualcosa di male o di sbagliato anche se, purtroppo, la difficile comprensione del mio concepimento è stata funzionale per opprimere l’uomo con sensi di colpa repressivi. L’assenza di un rapporto sessuale testimonia lo straordinario contatto con la dimensione divina che ha determinato quell’incredibile concepimento. Con il concepimento di Gesù Dio ha donato all’Uomo, attraverso Maria, l’Albero della Vita dando l’autorinnovamento e la totipotenza delle cellule staminali di Gesù, innescati per l’uscita della quiescenza delle cellule dell’ovocita di Maria attraverso la sostanza della relazione con lo Spirito Santo.

 

Perché un’adolescente?

Perché è stata scelta una adolescente? Ho sempre dato per scontato questo aspetto considerandolo un tratto culturale di quell’epoca ma, se mi interrogo con maggior puntualità, debbo ammettere che un’età così tenera quasi mi disturba. Dentro di me ho sempre avuto l’idea che se il concepimento più straordinario della storia umana fosse avvenuto in una donna più matura e formata, sarebbe apparso più “sensato”. Non tanto per una maggiore formazione intellettuale, meno che mai culturale, di Maria, giacché la sua non è  certo una scelta intellettuale ma una apertura empatica totale all’esistenzialità spirituale dell’essere nel mondo, quanto per la possibilità di avere strumenti di adattamento maggiori alla realtà di Madre di Dio che le si poneva dinnanzi. Se guardo le ragazze di sedici anni e penso a Maria mi si stringe il cuore per un senso di protezione che non posso trattenere. Invece devo prendere atto che semmai è Lei che può proteggere me. Di sicuro non io Lei. Eppure Maria ha sedici anni quando la mutazione biologica del concepimento avviene in un suo ovocita. E tale mutazione può avvenire probabilmente  proprio perché ha solo sedici anni. Cosa accade nel passaggio tra adolescenza e giovinezza se non la conformazione a strategie di adattamento tipiche del modello mentale dell’adulto. Maria ha scelto qualcosa di diverso rispetto alle strategie di coping (come le chiamano gli psicologi) e non si è “adattata”, anzi ha tenuto aperta quella porzione del mondo interiore che gli adolescenti ancora possiedono prima che l’opera educativa degli adulti li conformi (o li emargini) al mondo. C’è nella adolescenza la possibilità che il pensiero magico dell’infanzia non si chiuda ma evolva verso la dimensione spirituale ovvero che superi la soglia del senso di realtà fenomenica per partecipare ad una sfera spirituale superiore, lasciando spazio al divino che potenzialmente è presente in ogni essere umano.Se osservo gli adolescenti e ne assorbo le caratteristiche e, spesso, la sofferenza vedo in loro una spazio esistenziale aperto all’ignoto che va pian piano chiudendosi e incanalandosi nei percorsi evolutivi “normali” che proponiamo ai giovani.

La nostra proposta di adulti nei loro confronti è retta dal buon senso, dal sapere le difficoltà della vita e dal voler offrire maggiori garanzie possibili ai giovani affinché si integrino nei sistemi di relazione di cui è fatto il mondo. Noi adulti proponiamo agli adolescenti un mondo come realtà oggettiva e concreta nel quale vigono modelli di pensiero, di azione e di emozione strutturati sulla base o del pensiero magico e ritualista o del pensiero logico e razionalista. Gli adolescenti spesso ci dicono che non li capiamo perché sentono, vogliono e desiderano qualcosa in più. Noi riflettiamo sulla nostra adolescenza e ricordiamo quel desiderio di qualcosa in più ma non riusciamo a metterlo a fuoco e lo consideriamo un’aspettativa sognante ed ingenua rispetto a ciò che abbiamo invece imparato sul funzionamento del mondo e delle cose. Ma funziona davvero così bene il mondo? Forse che non hanno ragione gli adolescenti a desiderare qualcosa di diverso e di migliore che noi ci affrettiamo a far tacere come utopia irrealizzabile? E se Maria avesse accettato questa utopia proprio perché adolescente? E proprio perché adolescente si fosse tutta intera arresa all’amore di Dio per Lei? Noi consideriamo marginale il desiderio di quel di più che ci mancherà per tutta la vita quasi fosse un corollario dell’esistenza. E se invece la vera ragione e la vera risposta l’avesse data quella adolescente di Nazareth da cui è dipeso il futuro del mondo?. Forse dovremmo tentare di tornare adolescenti ad osservare quella soglia dimensionale che ci è stato consigliato di evitare. Qualcuno la ha tenuto un po’ in conto dentro di sé e la sente riemergere come nostalgia di un modo di essere e di esistere ormai negato per la troppa strutturazione della nostra pseudo identità. Maria sceglie qualcosa di diverso che può essere intravisto e intuito solo nella adolescenza prima che i copioni subentrino con le loro ripetizioni strutturate e, spesso, primitive. L’evoluzione vera era da un’altra parte ma non la abbiamo colta e non la lasciamo cogliere alle generazioni che si susseguono nel tempo. Come genitori vogliamo che i nostri figli abbiano copioni stabilizzati e siamo inquieti quando i nostri figli non sono inseriti come tessere ordinate nel mondo. Non credo che le potenzialità dell’umano che tranciamo siano in conflitto con l’inserimento sociale o il comportamento corretto. Credo che sacrifichiamo le potenzialità del divino ad un modello adattativo che ci sarebbe lo stesso ed anzi sarebbe sicuramente migliore. Chi conosce gli adolescenti sa che in loro c’è una potenzialità di scelta molto più ampia di quanto noi adulti possiamo capire. Infatti non si sentono mai pienamente capiti dagli adulti e noi attribuiamo a questo loro modo di pensare una connotazione di infantilismo. Diciamo loro: “Anch’io sono stato giovane come te ed ho vissuto quel che vivi, ti capisco, poi passa e si diventa grandi”. E se avessero ragione gli adolescenti? Pur non sapendo dire ciò che sentono come possibilità e non riuscendo ad esprimerlo perché lo abbiamo implicitamente negato a loro dopo averlo negato a noi stessi? Cosa è accaduto nella nostra adolescenza che non riusciamo a ricordare se non come fantasia di un’estasi non compiuta? Come siamo diventati chi siamo, convinti di essere responsabilmente nel giusto e di riprodurre con senso e con giustizia le cose del mondo che hanno davvero significato? Ma siano proprio così sicuri che il mondo relazionale, economico, politico ecc. che abbiamo costruito sia proprio il più giusto possibile?

 

La soglia e i meccanismi di coping

Maria ha attraversato quella soglia che noi abbiamo negato e in questo atto adolescenziale ha incontrato il divino. Avremmo dovuto scegliere come ha scelto Maria. Ciò che ha scelto di essere Maria. Spesso nella vita ci ritroviamo presso quella soglia che compare come punto di passaggio in molte occasioni, a volte la oltrepassiamo sempre senza rendercene pienamente conto perché il nostro modello di pensiero è ormai totalmente conformato alle strategie di adattamento al mondo. Non guardiamo quasi mai nell’altra direzione. Quando timidamente alziamo lo sguardo verso tale dimensione siamo castrati da mille paure, dall’angoscia che ci siano cose terribili e spaventose che il condizionamento sociale ci ha fatto credere vere ed esistenti. Non vediamo ed abbiamo paura di vedere poiché ci è stato detto che il varco sul divino è terribile e pericoloso, è un misterium tremendum!

Non è vero! Non c’è paura ma pace ed accoglienza tra le braccia di Dio. Sono le nostre strategie di coping a farci vedere la realtà in modo sbagliato. Tali strategie compaiono quando il pensiero magico dell’infanzia si dissolve e sono focalizzate sui problemi, o sulle emozioni, quando ci ritroviamo a dover fronteggiare situazioni difficili, impreviste o preoccupanti. Quando cioè il mondo degli adulti pone a ciascun essere umano la domanda adattativa centrale: se vuoi essere di questo mondo devi accettare questi dolori, queste fatiche, queste rinunce. Per questo gli adolescenti non vogliono diventare adulti e per questo agli adolescenti non piacciono gli adulti. Fino a che vigeva nella loro infanzia il pensiero magico con la legge della somiglianza (per cui due cose che si rassomigliano superficialmente hanno in realtà una somiglianza sostanziale) e la legge del contagio (per cui oggetti che sono stati in contatto tra di loro, continuano ad influenzarsi reciprocamente anche a distanza), fortuna e destino apparivano spiegabili giacché tutte le cose sono vive e unite tra di loro. Senza confini tra una cosa e l’altra, tutto partecipa di tutto, l’uomo e il suo ambiente sono uniti così indissolubilmente che il bambino non è capace di distinguere tra fenomeni fisici e fenomeni psichici. La sua vita è tutta aperta, egli sta vivendo dentro di sé. Il pensiero magico lentamente si dissolve in due diverse direzioni: l’adattamento lo trasforma in visione scientifica del mondo, la creatività invece potrebbe aprirlo al divino ed alle coincidenze. Questa seconda via è impraticabile perché vietata da noi stessi a noi stessi e agli altri. Al massimo può essere consentita una regressione primitiva al magico, in specie se evocato con qualche oggettivo rituale da ripetersi con cura e precisione. E guai a chi sbaglia!

 

Gesù di Nazareth

Il figlio di Maria ha in sé il bagaglio cromosomico che gli consente l’apertura al divino. E non ha bisogno di rituali tanto da scegliere per offrirci l’apertura al divino il gesto più semplice e banale: spezzare il pane! La sua dimensione umana si muove tra il momento della sua nascita e quello della sua morte per crocefissione, mentre la dimensione divina sta tra il momento del concepimento e quello della sua resurrezione. L’apertura a questa visione consente di comprendere la totale purificazione dagli archetipi in Maria, nel concepimento di Gesù e in Gesù stesso. E questo pone in una luce diversa il contatto tra il mondo della nostra quotidianità e la dimensione spirituale, li rende prossimi se non contigui per chi si pone con accettazione verso l’empatia con cui Dio comunica con noi. La maternità e la paternità di Dio nei confronti dell’essere umano sono un’incessante comunicazione a cui riusciamo a prestare ascolto solo occasionalmente. I momenti forti della vita aprono più facilmente verso tale contatto e il più forte in assoluto è quello della generatività materna della vita. Gesù ha una mamma adolescente che si propone con un attaccamento sicuro, molto più sano delle proiezioni di una madre adulta con le paure e le insicurezze generate dall’adattamento al mondo. Maria lo allatta e lo nutre senza le proiezioni psicologiche “adulte” finalizzate al risultato di un attaccamento o di una educazione. Gesù cresce amato con semplice naturalezza adolescenziale aperta, anzi spalancata, verso il senso dell’esistenza divina. L’amore di Maria verso Gesù è, di fatto, un amore trascendente, tutto oltre la soglia della dimensione del terreno e del mondo. Questa relazione affettiva è del tutto nuova sulla terra ed è meravigliosa. Ha lasciato un eco potentissimo nella storia dell’uomo che è stato percepito da mistici, santi, poeti e pittori che ne hanno raccolto le tracce e lo hanno fatto rimbalzare, generazione dopo generazione, fino a noi trasmettendocene qualche nobile richiamo colto dalla sensibilità di chi, per qualche attimo, è andato oltre la soglia dell’umano sentire. Che poi è la via che Maria ci indica. Le sue apparizioni, spesso ai bambini e agli adolescenti, confermano come solo chi non ha ancora chiuso la soglia delle percezioni spirituali può vederLa e riconoscerLa. Dopo l’adattamento e la chiusura egocentrica nell’umano è molto difficile riconoscere il varco della porta sul divino. Lei l’ha ben aperta ma noi non riusciamo a vederla. Forse proprio perché troppo aperta per essere accessibile quando si è incastrati nelle difficoltà dolorose della condizione umana. Certo gli uomini si rivolgono a Lei con la preghiera per ottenere un aiuto appoggiandosi a frammenti residui di pensiero magico e di rituali ma, strutturati come siamo nel razionalismo egoico, non riusciamo più ad aprirci verso il varco che ci ha indicato. Per questo è indispensabile il viaggio nell’umano di suo figlio Gesù che tocca, rigenerandole, tutte le esperienze dell’umano che gli uomini hanno modo di vivere nel corso della loro vita. Gesù non ne trascura nessuna ed a tutte risponde aprendo continue vie nuove all’amore di Dio verso l’essere umano. Ma la maggior parte degli uomini non lo hanno riconosciuto, né capito, né accettato perché siamo impediti dall’adattamento al mondo a guardare oltre la soglia del mondo stesso. E dunque ci invita a tornare bambini per rinascere ed investire quel “di più” che è il nostro desiderio di divino nella semplicità di una accettazione innocente del privilegio che ci è stato concesso e di cui non ci rendiamo ancora conto.

 

NOTE

[1]  Il dibattito tra gli antropologi circa le successive ondate migratorie dell’Homo Erectus, Neanderthal, Cro-magnon e sapiens e le sovrapposizioni contemporanee tra queste popolazione è controverso anche in ragione delle datazioni contraddittorie dei reperti. Uno sguardo semplificatorio sugli ultimi 40000 anni, data in cui è probabile la prima comparsa di una razza umana a cui attribuire lo sviluppo dell’affettività interumana prodotta dall’Eva mitocondriale, vede un’industria litica diversificata appartenente sia agli uomini di nearnderthal che ai cro-magnon e la comparsa dell’arte figurativa delle pitture rupestri ma anche delle veneri steatopige. Tali statuine sono rappresentazioni realistiche della femminilità dell’epoca che fanno pensare ai primi interrogativi circa l’origine della vita e la riproduzione della specie attraverso il corpo della femmina. La vita dei cacciatori del paleolitico si farà da allora progressivamente più stanziale attraverso l’allevamento e la prima agricoltura mentre l’idea della riproduzione farà scoprire sia la maternità affettiva sia il ruolo del maschio che, come intuito nel processo riproduttivo tra gli animali, è fecondatore nel concepimento. L’Eva mitocondriale, ovvero la portatrice della genetica presente nei mitocondri femminili, è il simbolo più convincente di tale processo evolutivo. Bryan Sykes, genetista dell’università di Oxford, nel suo libro del 2001 “The Seven Daughters of Eve”, scherza sull’uomo di Cro-Magnon che si sarebbe accoppiato con sette tipi di donne figlie di Eva, a cui da un nome diverso a seconda del loro DNA mitocondriale derivato da Eva africana: Ursula (aplogruppo U) trovata in Siberia, Xenia (aplogruppo X), Tara (T) e Helena (H) trovate in Europa nel paleolitico, e poi Katrine (K) e Velda(V) evolutesi nel mesolito e infine Jasmine (J) venuta dal levante nel neolitico. Esse danno origine ai principali aplogruppi mitocondriali diffusi nelle popolazioni moderne.

[2] Tiberio e poi Gaio occupano l’importante ruolo di Tribuni della Plebe, magistrati che avevano progressivamente acquisito potere nei confronti del Senato che rappresentava l’aristocrazia. Tiberio diventa artefice della riforma agraria del 133 a.c. che ridistribuisce la terra ai contadini e per questo motivo viene assassinato. In quell’occasione Cornelia scrive una lettera al figlio Gaio invitandolo a rinunciare a vendicarsi del tribuno Marco Ottavio, ritenuto responsabile della morte di Tiberio. Anche Gaio dieci anni dopo la morte del fratello proporrà una lunga serie di leggi approvate per plebiscito (la riforma agraria, urbanistica, l’inapplicabilità della pena di morte senza un regolare processo, la distribuzione di grano alla plebe, la legge contro la corruzione dei governatori, il divieto della leva militare prima dei 18 anni). Gli aristocratici romani muoveranno armati contro Gaio ed i suoi seguaci che saranno sconfitti e uccisi dopo essersi rifugiati sull’Aventino.

[3] J. Jaynes, “Il crollo della mente bicamerale”, Adelphi pag. 40.

[4] Mente bicamerale che ben rappresenta la scissioni interiore tra la propria voce e volontà ed i condizionamenti emozionali ricavati dagli archetipi e dalla cultura in cui quell’individuo è cresciuto.

[5]La prima annotazione è che con questo termine “esercizi spirituali” si intende ogni modo di esaminare la coscienza, meditare, contemplare, pregare vocalmente e mentalmente, e altre attività spirituali, come si dirà più avanti. Come infatti il passeggiare, il camminare e il correre sono esercizi corporali, così tutti i modi di preparare e disporre l’anima a liberarsi da tutti gli affetti disordinati e, una volta che se ne è liberata, a cercare e trovare la volontà divina nell’organizzare la propria vita per la salvezza dell’anima, si chiamano esercizi spirituali”. Esercizi spirituali di Sant’Ignazio di Loyola, prima annotazione.

[6] Nel protovangelo di Giacomo è raccontato l’episodio della levatrice Salomé che dopo aver introdotto un dito nella vagina di Maria per constatarne la verginità, riceve un’ustione nella mano che sarà guarita nel successivo accudire Gesù. “Salome mise il suo dito nella natura di lei, e mandò un grido, dicendo: “Guai alla mia iniquità e alla mia incredulità, perché ho tentato il Dio vivo ed ecco che ora la mia mano si stacca da me, bruciata”. Protovangelo di Giacomo, 20,1.

[7] Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda.

[8] Il dogma dell’Immacolata Concezione, proclamato da papa Pio IX l’8 dicembre 1854, sancisce come la Vergine Maria sia stata preservata immune dal peccato originale fin dal primo istante del suo concepimento e non riguarderebbe il concepimento verginale di Gesù da parte di Maria. Mi sembra estremamente interessante il fatto che nelle apparizioni di Lourdes del 1858, 4 anni dopo il dogma di Pio IX, emerga con esplicita dichiarazione la natura dell’essere lei stessa, Maria, l’oggetto di un concepimento immacolato e cioè totalmente privo di ambivalenze biologiche, psicologiche, archetipiche e culturali.