Consunzione degli stati moderni, multinazionali della globalizzazione e burocrati/tecnocrati
La critica all’establisment e al suo stile polically correct deve oggi incentrarsi su una analisi della crisi della democrazia come frutto della sottovalutazione del cambiamento epocale prodotto dalla globalizzazione e dall’ingresso imprevisto sulla scena della politica di 75000 multinazionali (di cui circa 400 con un orizzonte di interessi mondiale) che sono il vero luogo delle decisioni politico economiche che orientano il mondo.
Non è un caso che le consultazioni democratiche si orientino verso i populismi per cercare di fermare o rallentare il processo di dominio sul mondo di questi potentissimi gruppi di interessi (a cui le diverse fazioni micropolitiche dei partiti tradizionali fanno riferimento pensando in questo modo di poter contare e di poter ricavare qualche fetta di potere come servi sciocchi). Non è nemmeno un caso che i più fini politologi pensino che, fino a quando gli stati hanno ancora un potere giuridico-legislativo, sia il caso di rendere democraticamente elettive le cariche dei consigli di amministrazione di queste multinazionali che, tendenzialmente, rappresentano la nuova forma di governo mondiale nella web society. E propongono questa operazione di democratizzazione prima della tendenziale estinzione degli stati postmoderni. Dopo sarebbe ovviamente troppo tardi. A ben vedere gli unici stati al mondo che hanno ancora dignità di stato moderno sono solo quattro: gli USA, la Russia, la Cina e l’India che, per la loro estensione la loro organizzazione statuale possono ancora confrontarsi con le superpotenze dell’economia transnazionale. Gli altri stati hanno in gran parte perso la loro identità per permeabilità dei confini, per fragilità degli ordinamenti, per impossibilità di intervento sui processi macroeconomici, per dipendenza dai processi finanziari internazionali e per incapacità di gestione amministrativa delle loro risorse. Queste ultime gestite con margini di manovra insignificanti rispetto alla necessità di ripensare, riprogettare e ricostruire l’idea stessa di stato sociale.
La consunzione degli stati moderni appare evidente sotto i nostri occhi nel concreto fallimento dell’idea di welfare state (ugualitario, erogatore di servizi, amministratore della fiscalità, equanime, onesto e improntato alla giustizia sociale) di cui non solo non vi è più traccia ma nemmeno più idea.
La progressiva disintegrazione degli stati moderni avviene sotto la spinta di molteplici fattori. Da un lato l’irrimediabile crisi fiscale degli stati con la conseguente impossibilità di pareggio di bilancio. Tale crisi fiscale è strettamente connessa alla globalizzazione che consente alle multinazionali di localizzare le unità produttive e le unità amministrative a seconda delle loro convenienze: le unità produttive laddove il costo del lavoro è più basso, magari godendo contemporaneamente dei contributi e degli incentivi statali nei paesi dove hanno la sede amministrativa[1]; le unità amministrative nei paesi dove la tassazione dei loro utili è più bassa[2] giocando sulla mancanza di regolamentazione fiscale internazionale.
Dal lato dei bisogni la segmentazione burocratica delle forme assistenziali di welfare manca di una idea guida in grado di orientare il futuro assetto complessivo della società e non risolve i conflitti sociali determinati dalla mancanza di strategia e di obiettivi: come risolvere, ad esempio, il conflitto tra i fondi erogati per l’accoglienza di migranti e le condizioni di povertà in cui versano migliaia di cittadini italiani? E da cosa dipende questo ed altri conflitti che hanno eroso la possibilità di far esistere il welfare? E quel’è la principale causa della progressiva estinzione degli stati e la vincente organizzazione mondiale delle multinazionali (cha sanno fare meglio degli stati e, soprattutto, sanno fare a meno degli stati)?.
L’idea ottocentesca di stato la cui costituzione è centrata sull’homo faber (la repubblica fondata sul lavoro) richiede o una ridefinizione del concetto stesso di lavoro o la ridefinizione del fondamento costituzionale incentrando, ad esempio, il significato dello stato sul principio guida della solidarietà.
I principali valori di riferimento della modernità sono stati la libertà, l’uguaglianza e la fraternità e le diverse forme di democrazia hanno rivestito il ruolo di metodo per realizzarli ed ampliarli anche a valori di accettazione, tolleranza (figlie della libertà), giustizia e progresso sociale (figli dell’uguaglianza), accoglienza e responsabilità (figlie della fraternità).
Se nella attuale contingenza della globalizzazione si può osservare il ruolo delle multinazionali come destrutturatore dei criteri valoriali del welfare, si deve però osservare che, nel corso dei decenni più recenti, ciò che ha sistematicamente impedito agli stati postmoderni la realizzazione di un sistema di funzionante di welfare è stata la burocrazia.
L’idea weberiana a cui ci siamo assuefatti di burocrate era incentrata su:
la fidelizzazione del burocrate al sistema gerarchico che è andata in crisi quando il lavoro burocratico non è più consacrazione e appartenenza ad una casta venerabile e prestigiosa ma diventa una professione e una carriera simile alle altre, sindacalmente tutelata con forme di contratto collettivo stipulate con “se stessa”.
l’impersonalità nelle relazioni esterne e interne sistematicamente influenzate da mediazioni di “convenienza politica e sociale” che utilizzano diverse velocità nell’espletamento delle pratiche demandate al potere della burocrazia. Il fondamento del potere della burocratico è infatti l’inerzia ovvero il deliberato rallentamento (coperto da motivi sempre misteriosi) delle trafile a meno che una potenza esterna non faccia pressioni per velocizzarle.
la presenza di un sistema formale di regolamenti non è più la ragione della struttura piramidale gerarchica nell’organizzazione burocratica giacché il burocrate conosce bene i sistemi per aggirare quella complessità crescente del sistema che la burocrazia stessa produce, governa e regola rendendo inossidabile il suo potere.
Solo sostituendo la sbagliata concezione weberiana di burocrazia con quella dimentica (o rimossa?) del potere delle élites del nostro Vilfredo Pareto si riesce a comprendere l’evoluzione della burocrazia in tecnocrazia con due principali conseguenze.
Per i burocrati di basso rango non prescelti per l’ingresso nelle élites è iniziata una fase di profonda alienazione che li ha condotti all’inefficienza selettiva ed a vere e proprie sindromi passivo aggressive versi cittadini, alla finzione della neutralità, alla disuguaglianza selettiva, alla incapacità addestrata teorizzata da Veblen, alla deformazione professionale di Warnotte, al ritualismo operativo fino all’assenteismo organizzato.
I burocrati di alto rango, prescelti attraverso i canali privilegiati della conoscenza burocratica del funzionamento dei concorsi pubblici, della selezione per titoli, dell’incarico ad personam – ovviamente motivato in modo burocraticamente perfetto e blindato – sono stati selettivamente cooptati all’interno della casta dei tecnocrati al servizio e compartecipi della superclass delle multinazionali e delle sue diramazioni di potere vigenti nei diversi paesi proprio attraverso le diverse tipologie di tecnocrati attive nei settori chiave degli stati. Tecnocrati e Superclass, e le loro organizzazioni internazionali, hanno infatti in comune l’odio per le democrazie politiche degli stati sovrani.
Con molta lucidità superclass e tecnocrati vedono la progressiva dissoluzione degli stati postmoderni che possono evolvere verso forme più mature, anche tendenzialmente più democratiche e solidaristiche, attraverso la nascente web society, e vogliono incidere sull’ordine mondiale per non perdere il privilegio di auto confermarsi per cooptazione.
Vilfredo Pareto descriveva molto bene questi processi di cambiamento quando affermava che “la storia è un cimitero di élite”. Se infatti l’élite non è più in grado di agire con una buona cooptazione di membri e, soprattutto, con idee razionali di organizzazione per l’intera società ma solo attraverso azioni non logiche guidate da residui primitivi di ricerca di potere personale, decade o produce effetti invalidanti e distruttivi per l’intera società (crisi economiche, sociali, conflitti, guerre, ecc..).
Per evitare il baratro verso cui ci stanno facendo avvicinare è necessario scegliere semplicità in luogo di complessità crescente (specie sul web), trasparenza in luogo di opacità e popolarità in luogo di tecnocrazia.
Vediamo nel dettaglio come nascono gli equivoci weberiani sulla burocrazia.
La burocrazia
La definizione di organizzazione burocratica a cui ci si riferisce con continuità è quella weberiana e cioè una forma di amministrazione moderna e razionale, applicabile a qualsiasi tipo organizzazione, pubblica o privata. Weber identifica le caratteristiche principali delle organizzazioni burocratiche in:
– Il principio di gerarchia (responsabilità del funzionario nei confronti del suo superiore per tutte le decisioni prese da lui e dai suoi inferiori).
– Un sistema formale di regole e regolamenti stabili volti a garantire il raggiungimento di un’uniformità di azioni e decisioni mediante vincoli che servono per mantenere la struttura piramidale gerarchica nell’organizzazione e per evitare possibili attriti all’interno del sistema.
– Una divisione del lavoro (responsabilità o doveri dell’ufficio) e un alto livello di specializzazione e di competenza degli addetti che non hanno potere personale ma solo di ruolo per l’ufficio che rivestono.
– L’impersonalità nelle relazioni esterne e interne, che evita l’interferenza dei sentimenti nell’assolvimento razionale dei doveri d’ufficio.
– Una visione del lavoro sia come professione che come carriera. Molti uffici burocratici prevedono un impiego per tutta la vita e questo si traduce per il funzionario in un certo livello di sicurezza dell’impiego e in una retribuzione crescente attraverso procedure automatiche di promozione basate sul merito e sull’anzianità.
Le critiche teoriche al modello weberiano di interpretazione della burocrazia sono state numerose. Merton (1970) critica la mancanza di adattamento a contingenze che cambiano per rigidità delle regole e fa notare le disfunzioni prodotte dalla incapacità addestrata di Velben e dalla psicosi dell’occupazione di Dewey.
Gouldner (1954) critica la versione della burocrazia weberiana come modello ideale e suggerisce l’esistenza di una pluralità di modelli. La sua critica si concentra in particolare sul dualismo esistente tra disciplina gerarchica e competenza professionale, che a suo avviso generano due diversi modelli di burocrazia.
Selznick (1966) sostiene che il progressivo scostamento dai fini originari, provocato dalla tirannia dei mezzi, sia una tendenza universale e solo in parte contrastabile e il processo degenerativo della burocrazia è legato alla necessità di adattamento al contesto esterno.
Crozier (1964) sostiene che l’apparato burocratico presenta una eccessiva accentuazione della forma piuttosto che alla sostanza. La burocrazia è formalistica nei criteri organizzativi, nel reclutamento e controllo dell’apparato stesso con il risultato che le competenze finiscono per essere secondarie.
Lo studio di Bozeman e Raney (1998) pone l’attenzione sia alle caratteristiche delle organizzazioni, sia alle percezioni che gli individui hanno della burocrazia. La percezione delle regole, all’interno dell’organizzazione in cui si lavora, non è oggettiva ed accade che alcune persone percepiscono la presenza di troppe regole quando in realtà, queste, sono poche. Se la percezione di red-tape (dove per burocrazia o red tape si intende il numero elevato di regole) non è causata dalle caratteristiche dell’organizzazione, è ragionevole pensare che esista una forma di “personalità burocratica” che porti l’individuo a chiedere più regole indipendentemente che ne esistano già in quantità sufficiente.
Nell’ottica proposta da tale studio emerge la definizione di personalità burocratica caratterizzata da insicurezza, alienazione e sensazione di mancanza di potere.
“Come primo risultato indicativo dei test emerge che i burocrati del settore pubblico non presentano una preferenza più alta per le regole rispetto a quelli privati confermando altri studi in merito (Allison, 1984). Molti studiosi fino a questo momento avevano pensato fosse l’inverso e invece i risultati delle indagini hanno messo in evidenza come solo un 13% dei manager delle organizzazioni pubbliche vorrebbe più regole, mentre la controparte nel settore privato ha una percentuale più alta. I risultati ottenuti inoltre supportano il concetto che il bisogno di regole sia strettamente collegato con il senso di alienazione dell’individuo”.[3]
In ricerche successive nel contesto USA viene invece alla luce che la complessificazione dei sistemi e la loro diversificazione produce una crescita sproporzionata della componente amministrativa rispetto a quella operativa sia in termini di spesa, sia in termini di posti di lavoro. Lo studio di Gumport e Pusser analizza il contesto, le conseguenze e le possibili cause della crescita amministrativa. Una prima ipotesi è che se le grandi organizzazioni sono difficili da gestire e creano conflitti all’interno tali da preferire l’aumento di posti amministrativi rispetto a scelte più efficienti. Un’altra ipotesi è che tale crescita sia dovuta al fatto che le strutture si espandono, crescono e si diversificano, diventando sempre più complesse per cercare di rispondere alle richieste dell’ambiente esterno.
Le caratteristiche salienti delle diverse forme delle attuali burocrazie sono dunque:
– la personalità burocratica e la sua sofferenza per alienazione chiede un numero maggiore di regole per fronteggiare la diversficazione dei compiti prodotta dall’aumento di complessità
– la complessficazione dell’amministrazione porta ad un aumento sproporzionato degli addetti nelle amministrazioni.
– questi due elementi non portano ad una maggiore efficienza della macchina amministrativa, anzi! l’aumento dei passaggi di controllo allunga i tempi di lavoro sulle diverse pratiche e determina effetti di inefficienza e di ritardo.
Gli esiti della burocratizzazione smentiscono dunque l’ipotesi weberiana mettendo in discussione soprattutto tre dei suoi criteri salienti: la fidelizzazione del burocrate al sistema gerarchico va in crisi quando la visione del lavoro diventa quella di una professione e di una carriera simile alle altre, l’impersonalità nelle relazioni esterne e interne sono impossibili da mantenere per le caratteristiche relazionali umane del burocrate e il sistema formale di regolamenti non è più in grado di mantenere stabile la struttura piramidale gerarchica nell’organizzazione in ragione della complessità crescente del sistema che la burocrazia dovrebbe regolare.
La fidelizzazione del burocrate al sistema gerarchico è il primo anello debole del pensiero weberiano
Ben diversamente dalla funzione sacrale o imperiale del funzionario nel mondo antico il burocrate attuale non ha più una soddisfazione così grande dalla valorizzare sociale di cui è investito il suo lavoro. Il prestigio di sentirsi membri di una casta eletta è infatti fortemente ridimensionato dalla sindacalizzazione e dalla contrattazione di categoria con lo stato.
“Il costituirsi grazie alla contrattazione collettiva di una procedura decisionale di tipo bilaterale modifica lo status giuridico-istituzionale dell’impiegato pubblico e il principio dell’unica linea di autorità. Tale tipo di principio è ulteriormente messo in discussione quando si ha un’estensione della contrattazione collettiva ad alcuni aspetti, che nel settore privato sono considerati prerogative del datore di lavoro, come la facoltà di organizzare e allocare il personale in mansioni e uffici. Su questa strada, e proprio per questa volontà dei sindacati di voler tutelare in profondità l’intera condizione di lavoro, la contrattazione collettiva tende a diffondersi a livello decentrato e locale mettendo, in tutti questi casi e in modo definitivo, in discussione oltre al principio dell’unica linea di autorità quello della centralizzazione delle decisioni…(gli orientamenti risultano così ambivalenti nei significati rispetto alle) retribuzioni e alle condizioni di lavoro. Per una parte della Pubblica Amministrazione, le procedure sono ancora di tipo unilaterale. L’esperienza più rilevante è quella della Germania dove il 40% dei dipendenti pubblici è inquadrato come «Beamte», ruolo di funzionario senza diritto di sciopero e di contrattazione collettiva. Oppure della Francia dove le organizzazioni dei lavoratori hanno il diritto ogni anno alla «négociation préalable» prima che il governo assuma una decisione in merito ad aumenti retributivi o a norme inerenti le condizioni di lavoro. I risultati della negoziazione non sono vincolanti per il governo, esso è libero di decidere quando iniziare le negoziazioni, se raggiungere un accordo e se accettarne i risultati una volta che l’accordo è stato raggiunto. Lo stesso caso della Gran Bretagna è da questo punto di vista piuttosto significativo: più del 25% dei dipendenti pubblici vede le proprie condizioni di lavoro stabilite dal governo in virtù di raccomandazioni fatte da autorità indipendenti. Fino al 1980 queste autorità definivano le condizioni di lavoro solo per un gruppo molto ristretto di lavoratori (medici e forze armate e senior civil servant), il loro potere di intervento è stato successivamente esteso al personale ospedaliero e agli insegnanti proprio dallo stesso governo conservatore fautore della flessibilità, di forme di regolamentazione di mercato e del decentramento e autonomia della contrattazione collettiva (Bordogna, Winchester, 2001)”.[4]
“Secondo il modello weberiano l’impiegato pubblico è assunto per il perseguimento degli interessi generali; entrando a fare parte dell’organizzazione amministrativa l’impiegato pubblico è chiamato a svolgere un servizio alla collettività e a soddisfare, quindi, un interesse di tipo collettivo in rappresentanza generale di tutti i cittadini e non certo egoistico individuale o della propria associazione di interessi”.
Dunque questo primo assunto della teoria weberiana, su cui si fondano le nostre convinzioni sul significato della burocrazia è di per se inconsistente ed è una proiezione del “pensiero magico” verso l’organizzazione burocratica dello stato di cui siamo implicitaente convinti anche di fronte alle evidenze più eclatanti.
La neutralità del burocrate e la sua fidelizzazione dunque non esiste né come criterio teorico definitorio della burocrazia né come esercizio concreto della professione. La pratica dei suoi interessi individuali e di categoria è la regola del tutto simile a quella di altre professioni e non l’eccezione su cui indignarsi. Ci si dovrebbe semmai indignare sull’ipocrisia sociale che nasconde questa realtà agli occhi dei cittadini. Forse che un magistrato nell’emettere una sentenza (o un burocrate nel negare il consenso a una pratica) non ha pensato alla sua personale convenienza in termini di criticabilità, di esposizione personale, di giudizio da parte dei superiori, di interessi che va a colpire, di effetti che la sentenza può andare a produrre, di relazioni personali che può intaccare, di giudizio da parte dei colleghi, ecc.? E il suo richiedere maggiori regole o più circostanziate e dettagliate prescrizioni normative non nasconde il suo disimpegno nell’assumersi la responsabilità di una decisione scomoda?
Questa condizione di insicurezza, che conduce all’indifferenza nei confronti dei cittadini destinatari della azione burocratica, definita da studiosi come Kanter e Mirvis cinismo burocratico, è la causa della lentezza, dell’incapacità addestrata, dello scaricabarile, dell’inefficienza determinata dalla incapacità di assumersi responsabilità da parte del burocrate che tende naturalmente a salvaguardare se stesso in barba alle necessità ed alle emergenze che invece è chiamato a fronteggiare. La nicchia in cui si nasconde l’opportunismo difensivo del burocrate è proprio la gerarchia che rende socialmente invisibile il singolo burocrate che gestisce la pratica e che non la licenzia per timore delle conseguenze sulla sua persona e sulla sua carriera laddove, senza rendersene conto, possa aver pestato, anche indirettamente, i piedi a qualcuno.
L’impersonalità nelle relazioni esterne e interne è un altro limite della teorizzazione weberiana.
Già da quanto appena detto appare evidente che anche l’impersonalità nelle relazioni esterne e interne sia un altro limite della teorizzazione weberiana. Avrebbe poca importanza in realtà il fatto che Weber avesse torto se non fosse che l’implementazione sociale della sua visione è entrata così profondamente nei nostri modelli di pensiero che non riusciamo a pensare di poter fare a meno della burocrazia e, soprattutto, che non riusciamo a non arrenderci alla sua presenza con un fatalismo pessimista che la considera un male inevitabile nelle organizzazioni umane. Il modello di pensiero a cui invece dovremmo aprirci è quello di considerare la burocrazia come una struttura artatamente costruita contro la realizzazione del BENE per l’uomo e ipocritamente mascherata come esigenza. L’aspetto più inquietante della costruzione del pensiero burocratico e dell’esercizio del potere burocratico è che una liberazione da questo fatalismo sarebbe oggi possibile grazie a processi di informatizzazione delle reti comunicative che la rendono superflua ed ingombrante mentre invece il suo potere si sta pericolosamente riproducendo mediante contagio comunicativo anche nella nascente web society.
L’assunto che la burocrazia possa essere considerata e studiata come un sistema chiuso e impersonale è l’altro equivoco persistente nel nostro modo di pensarla: la burocrazia è invece un sistema di potere al servizio dei gruppi di interesse opachi alla visibilità sociale. Questa tesi, affermata e discussa 30 anni fa nella mia ricerca sulla penetrazione mafiosa nella pubblica amministrazione siciliana pubblicata in Sociologia di Sagunto (Angeli, 1984), deve essere rispolverata e aggiornata nell’attuale contesto sociopolitico.
L’analisi verteva sui seguenti punti:
2.1. Struttura organizzativa
La struttura organizzativa della burocrazia ha una gerarchia che si può leggere nell’organigramma specifico che rappresenta il sistema di comunicazione formale interno di ciascuna struttura. I collegamenti sono in genere un mix tra seriali (A →B→C→D) e radiali (A →B; A→C; A→D) e ciascuna posizione nella struttura ha un suo indice di centralità che rappresenta la sua posizione nella rete comunicativa complessiva. La comunicazione tra posizioni con basso indice di centralità richiede un alto numero di passaggi formali nell’organigramma e funziona male o attiva altri canali di comunicazione non previsti (o addirittura non consentiti) dalla organizzazione burocratica (gli scavalcamenti). Tali canali sono processi di personalizzazione della burocrazia è sono “la regola” in qualunque struttura burocratica che voglia avere un livello minimo di efficienza. Tali canali informali sono relazioni interpersonali dirette che si costituiscono sulla base di appartenenze casuali o strutturate (le persone si conoscono perché hanno i figli che vanno nella stessa scuola, perché appartengono allo stesso sindacato, perché sono collegate alla stessa famiglia mafiosa o perché costituiscono lo stesso gruppo di interesse opaco alla visibilità sociale). La struttura burocratica produce questi canali privilegiati di comunicazione che la aprono all’ambiente e, contemporaneamente, subisce l’influenza orientante di tali canali che la attraversano. Nel libro Sociologia di Sagunto avevo dimostrato come i canali trasversali di comunicazione nella amministrazione pubblica siciliana negli anni ’80 fossero gestiti direttamente dalle famiglie più influenti di Cosa Nostra. Le organizzazioni burocratiche attuali sono corrotte da spezzoni di gruppi di interesse che fanno riferimento a sistemi finanziari multinazionali che entrano in competizione economica tra di loro per il possesso e la gestione di porzioni più o meno ampie della struttura burocratica al fine di influenzarne le decisioni. Nuovi e più raffinati sistemi di network analysis informatica consentono oggi di leggere i disegni e le regie di orientamento nella burocrazia attraverso i nodi organizzativi delle reti e i flussi comunicativi nelle reti.
2.2. I canali privilegiati
L’analisi sui processi di efficienza della pubblica amministrazione all’epoca di Sociologia di Sagunto aveva dimostrato come fosse sistematicamente necessaria l’attivazione di qualche canale privilegiato per ottenere la velocizzazione di tutte le pratiche sperimentalmente presentate alla pubblica amministrazione (dal rilascio della tessera sanitaria, alla graduatoria per la casa popolare fino al finanziamento di una ricerca). Ciò aveva portato alla teorizzazione che il potere della burocrazia fosse incentrato sulla sua inerzia, ovvero sul rallentamento dei processi decisionali, a cui si doveva contrapporre una potenza di attivazione che fosse più forte del potere dell’inerzia. La forza della pressione di raccomandazione clientelare di ciascuna pratica aveva consentito la costruzione di una tabella di prestazioni e contropartite a seconda del grado di importanza della pratica presentata, del sistema clientelare di riferimento e delle contingenze di regolazione politica degli interessi in gioco. La scoperta sociologica più rilevante fu che era il potere dell’inerzia a regolare il funzionamento della burocrazia. Ciò dava spiegazione più chiara ed esaustiva all’inefficienza ed ai ritardi, alla disaffezione al lavoro da parte dei singoli impiegati e funzionari, alla sindrome passivo-aggressiva in cui molti di loro versavano fino al cinismo nei loro comportamenti, alle necessità di processi di corruzione/concussione per far funzionare un sistema burocratico altrimenti paralizzato.
Questi elementi di descrizione del sistema sono oggi ancora più evidenti anche alla luce dei raffinati sistemi di relazione che stanno alle spalle degli scambi tra prestazioni e contropartite rintracciabili nei continui processi di corruzione sistematicamente presenti in ogni impresa di un certo grado di importanza finanziata con denaro pubblico. In altre parole la corruzione è diventata una necessità per far funzionare il sistema di comunicazione e di lavoro nella amministrazione burocratica e la distribuzione di contropartite è una scelta obbligata. Attraverso il coinvolgimento nell’impresa della pluralità di attori che gestiscono il controllo amministrativo è possibile garantirsi sia il buon funzionamento del processo di lavoro sia la copertura degli eventuali illeciti, più o meno volontariamente compiuti. Ciò non dipende dalla fame di denaro o di potere dei singoli ma dal funzionamento pratico delle strutture burocratiche.[5] Chiunque voglia mettere in opera anche il più sano, nobile e gratuito processo di gestione di risorse pubbliche amministrate burocraticamente è costretto a coinvolgere nel suo progetto il numero più alto possibile degli attori amministrativi toccati anche solo marginalmente dal progetto. L’esperienza della costruzione di imprese sociali da parte del volontariato per essere efficace ha sempre dovuto preventivamente analizzare la rete di influenze che gravavano sul progetto e coinvolgerle dando come contropartita anche solo e semplicemente la possibilità di fregiarsi narcisisticamente della realizzazione del progetto stesso. Molto più frequentemente oggi, in epoca di crisi, si è passati a forme più tradizionali di corruzione economica mediante compartecipazioni o bustarelle che risultano essere meno impegnative che il coinvolgimento ideale nell’impresa. Specie se chi opera nella progettazione e nella realizzazione di servizi alla persona fa riferimento a strutture organizzative con ampia visibilità e indiscusso potere. Sul piano dei servizi questa è la attuale triste condizione del movimento delle cooperative.
- La finzione della neutralità
E’ importante osservare che l’impersonalità e la neutralità della burocrazia è una finzione a tutti i livelli del suo funzionamento.
- Nel rapporto con il cittadino, in merito ad autorizzazioni, concessioni, licenze, controlli pensioni, assistenza, prestazioni sanitarie, agevolazioni scolastiche, ecc. i processi attraverso cui si ottengono queste concessioni, pur essendo stabilite da regolamenti e norme, passano attraverso la capacità relazionale del singolo e del suo modo di porsi nei confronti della amministrazione. I risultati possono essere positivi o negativi, lenti o veloci, efficaci o inutili, in funzione del grado di conoscenza e di coinvolgimento del singolo operatore nei confronti dell’utente. Tanto più egli è anonimo tanto meno otterrà soddisfazione nell’erogazione di un servizio dovuto, tanto più riesce a connotare la sua identità e il suo ruolo sociale tanto più facilmente otterrà le prestazioni richieste.
- Nel rapporto con le aziende la concessione amministrativa è rilasciata attraverso corsie privilegiate che consentono di ottenere uno specifico condono o incentivi, rateizzazioni fiscali o finanziamenti sulla base della aderenza dell’azienda a requisiti che la burocrazia favorisce. In genere tali requisiti, spesso solo formali, sono stabiliti in funzione degli interessi che la burocrazia prevede di favorire. Tutto il processo di distribuzione dei fondi europei, ad esempio, funziona sulla base di questa logica.
- Nel rapporto con i gruppi di interesse le allocazioni delle risorse dipendono dalla capacità degli attori di occupare le posizioni di potere politico amministrative in modo da rendere malleabile il processo decisionale e volgerlo a proprio favore.
- Anche nel rapporto con le lobbies i meccanismi sono simili ma molto più raffinati perché il gruppo di pressione lobbistico agisce a priori sul sistema politico per ottenere una legge o un provvedimento che frutterà nel suo sviluppo successivo attraverso la realizzazione di quegli interessi che strategicamente la lobby aveva previsto.
In pratica l’amministrazione burocratica risponde ad una logica di “quasi mercato”. “La formula e il termine del «quasi mercato» riguarda le regole che stabiliscono le relazioni tra il decisore politico e le unità amministrative e tra queste ultime e le imprese private nell’implementazione delle politiche e nella produzione di beni servizio. La principale applicazione della formula sta nella sostituzione del controllo originario con quello, che è stato chiamato, il controllo attraverso contratto (Bobbio, 2000). Il contratto è utilizzato come strumento di regolazione interamministrativa, tra governo e unità amministrative operative, come nel caso delle Agenzie o tra le unità amministrative stesse, dall’altra attraverso l’estensione della pratica dell’appalto, in modo da consentire la competizione tra unità pubbliche, o tra queste ultime e le imprese private per acquisire le concessioni di servizi pubblici. Le burocrazie a questo punto diventano esplicitamente «unità di business», in quanto interagiscono tra loro per mezzo di contratti privati che stabiliscono le caratteristiche, la qualità e il prezzo delle forniture. Il declino della imparzialità burocratica è a questo punto assoluto giacché le unità amministrative funzionano con la logica del management, per la quale, l’efficienza e l’efficacia delle organizzazioni e dei dirigenti sono date dalla competizione tra unità per acquisire contratti piuttosto che da valori, motivazioni, indirizzo gerarchico amministrativo interni alle amministrazioni. Tale svolta è oggi considerata essenziale per l’innovazione della burocrazia pubblica. In questo modo cambiano in gran parte le condizioni che hanno assicurato sinora l’erogazione dei servizi. Si riduce l’uniformità del trattamento, perché inizia, seppure in forme diverse, una competizione tra apparati pubblici e, anche in alcuni casi, tra questi e i privati, dando luogo a continui adattamenti e a modalità d’esercizio della prestazione e a risultati tra loro spesso differenziati. Si modifica anche, secondo alcuni (Fedele, 2002) la logica della responsabilità politica; tutti i problemi operativi sono allontanati dalle competenze del governo il cui ruolo e le risorse sono innanzitutto circoscritti alle scelte strategiche”.[6]
In tal modo il “quasi mercato” porta alla luce in modo trasparente l’autentico significato delle burocrazia pubblica che è “quasi mercato” giacché la gestione delle uscite è determinata dalle pressioni di soggetti privati esterni mentre la colletta fiscale delle entrate è gestita mediante le norme obbligatorie sulla tassazione e sui prelievi automatici esercitati sul cittadino. La burocrazia statuale è dunque pubblica nella riscossione ma tendenzialmente privata nella distribuzione.
la crisi fiscale degli stati si annunciò negli anni ’70 con la prima crisi petrolifera mostrando come le risorse a disposizione degli stati non fossero illimitate ma legate ai bilanci e si dichiara apertamente ora come un avanzato livello di consunzione degli stati nella loro organizzazione politica, giudiziaria, fiscale e amministrativa a cui la burocrazia, a cui si continua comunque a far ricorso, non può porre alcun rimedio per sua stessa natura.
In sintesi anche l’efficienza della burocrazia nel suo impersonale processo di regolazione sistemica è un altro dogma weberiano da cestinare.
La complessità crescente diminuisce l’uguaglianza che la burocrazia dovrebbe garantire
In ordine alla complessità crescente che la burocrazia dovrebbe gestire vi sono molteplici considerazioni da svolgere. In primo luogo occorre affrontare la percezione limitata della realtà che è tipica del punto di vista burocratico che tende a rispettare l’ambito della sua specifica competenza senza volgere lo sguardo né a monte né a valle del processo in cui è inserita tantomeno a lateralizzarsi ovvero ad osservare come quella specifica pratica è parte di un insieme molto più ampio la cui sintesi è possibile (se lo è) solo per il soggetto che messo in moto quella pratica. Il processo di declino della burocrazia è infatti determinato dal diffondersi di più burocrazie, con regole tra loro diverse. La presenza di sovrapposizioni burocratiche è indicatore della inadeguatezza del processo burocratico nel suo più specifico compito è cioè l’uniformità delle regole. La differenziazione crescente aumenta la complessità e richiede una sempre maggiore precisione nel disegnare e ritagliare le procedure quasi a fotografare ogni singolo caso amministrativo. Da questo nasce la richiesta di nuove e più puntuali regole da parte del burocrate al fine di minimizzare la sua responsabilità decisionale personale. Il fatto che nascano però pluralità di burocrazie in contraddizione tra loro diminuisce la possibilità che i cittadini possano usufruire di un trattamento equo e conforme alla legge ed aumentano le discrezionalità mediante il ricorso a percorsi e procedure che, nel loro sovrapporsi, sono indicatori di discrezionalità.
A ciò non pone rimedio, anzi peggiora la situazione, la nascita della burocratizzazione privata. Prima di tutto quella delle certificazioni di qualità, di conformità o di adeguatezza delle procedure o di possesso di competenze che, principalmente attraverso l’Uni e Accredia, gestiscono procedure di controllo privato su privato che, spesso, sono ancora più invasive e cervellotiche delle pratiche della burocrazia pubblica.
I processi che passano sotto il nome di Certificazioni di Qualità e procedure di accreditamento sono gestiti mediante la stesura di burocratici Manuali della Qualità che, appoggiandosi alle norme ISO 9000, tendono a fotografare e riprodurre le procedure considerate posite nel gestire i diversi stadi del lavoro e delle competenze.
Dimenticando cosa significhi l’ISO (International Organization for Standardization una federazione mondiale di enti di 130 paesi, fondata nel 1947 allo scopo di promuovere la diffusione di standard nel mondo facilitando la comunicazione e gli scambi) e dimenticando ciò che l’ISO afferma e cioè che ”ISO certificates’ don’t exist!” la redazione standardizzata dei manuali di qualità ha aggirato la questione del riscontro oggettivo della qualità di un lavoro o di un prodotto andando ad analizzare la rispondenza dei processi in atto con quelli descritti nei manuali.
Con tale espediente si ottiene la certificazione di conformità nelle linee guida ISO attraverso l’innesco di una nuova burocrazia privata gestita da una terza parte indipendente (né l’erogatore di un servizio, né il cliente) che dichiara un determinato prodotto, processo o servizio “conforme” ad una specifica norma. In Italia, come nel resto d’Europa, la certificazione ISO 9000 dei sistemi qualità aziendali è eseguita dalle nuove burocrazie degli organismi accreditati, operanti cioè secondo le norme europee, anch’esse recepite dalle UNI. Il processo burocratico è dunque del tutto autoreferenziale perché la “norma” è un documento prodotto mediante il consenso delle parti interessate ed approvato da organismi riconosciuti, quali ISO (a livello mondiale), CEN (a livello europeo), UNI (a livello italiano). Tale documento fornisce, per usi comuni e ripetuti, delle regole, delle linee guida, delle caratteristiche relative ad attività o ai loro risultati, al fine di ottenere il miglior ordine possibile in un determinato contesto.
In genere le certificazioni obbediscono ai principi fondamentali del Total Quality Management (TQM) che si fonda su otto principi di gestione per la qualità: Orientamento al cliente, Leadership, Coinvolgimento del personale, Approccio per processi, Approccio sistemico alla gestione, Miglioramento continuo (tramite aggiornamento, rapporto di ascolto con il cliente), Decisioni basate sui dati di fatto (analisi vendite, statistiche e analisi di marketing, feedback dai clienti), Rapporti di reciproco beneficio coi fornitori.
Il sogno della qualità totale, incentrato sulla soddisfazione del cliente, si è però infranto contro le muraglie di questa nuova burocrazia privata, sovrapposta ed interconnessa con quella pubblica che valida le diverse certificazione prendendole per buone anche attraverso quell’insieme di strumenti che si sono presentati come metodi di validazione delle procedure che conducono alla qualità. In particolare
l’Applied Problem Solving articolato nelle fasi di Ricostruire gli accadimenti, Definire il problema, Capire dove effettuare le analisi, Individuare le cause, Investigare fino alla causa radice, Studiare come applicare le soluzioni, Decidere come monitorare le soluzioni, Focalizzarsi per sostenere i risultati.
il DMAIC un modello in cinque fasi (Define, Measure, Analyze, Improve and Control) per produrre il miglioramento della qualità.
Lo FMECA (Failure modes, Effects and Criticality Analysis) è un processo di miglioramento della qualità attraverso l’affidabilità dei processi e delle procedure di manutenzione che si appoggiano su standerd internazionali
Il PDCA, nota anche come ciclo di Deming, è la rappresentazione del circolo virtuoso della qualità e del suo miglioramento continuo. PDCA significa Plan, Do, Check, Act (pianifica, prova, verifica, agisci) ed è applicabile a qualsiasi campo e a qualsiasi livello.
Al di là dei roboanti e cervellotici processi attraverso cui giungere alla soddisfazione del cliente ciò che invece è emerso in questi anni di multinazionali e burocrazie è stato un processo di fidelizzazione del cliente attraverso la sua manipolazione e la sua incapacità di essere consumatore esperto. Il mercato non è assolutamente più trasparente e la possibilità di scelta è dunque estremamente limitata per l’impossibilità di essere competenti sui beni che il mercato offre e che richiederebbero una enorme quantità di tempo e di studio per verificare e comparare davvero l’oggettiva qualità. tenendo poi presente che il processo di fidelizzazione della clientela avviene molto più attraverso l’individuazione dei target dei consumatori piuttosto che attraverso la autentica possibilità di scelta che i clienti possono davvero esprimere.
Qui si svela la falsificazione del mix tra burocrazie pubbliche e private e la loro esplosione è un segnale di quest’epoca dove il ruolo di potere della burocrazia sta tentando un passaggio indispensabile per la sua sopravvivenza: la contaminazione burocratica della nascente web society.
L’assetto che il potere burocratico ha progressivamente tentato di assumere non è stato più da ormai molto tempo quello della armonizzazione delle norme e della uniformità delle strutture, guidate dal valore dell’uguaglianza sociale ma quello della rincorsa della differenziazione degli interessi emergenti per ricollocarsi all’interno delle nuove formazioni economiche della globalizzazione ben sapendo che proprio il ruolo apparente (ma falso) della burocratizzazione poteva offrire quella parvenza di legittimazione e di controllo in grado di mistificare e nascondere le strategie di potere di nuovi gruppi di interesse opachi alla visibilità sociale.
Il mix di burocrazia pubblica e privata ha così delegittimato le istituzioni rispetto alle dinamiche degli interessi emergenti che restano ancora oscuri e di cui non si comprende la strategia poiché è coperta dalle ideologie dell’establisment e dai processi burocratico formali che lo caratterizzano.
Il vero nucleo istituzionale è oggi appunto rappresentato dall’establisment, ovvero quella particolare configurazione di potere che vanta democraticità, trasparenza e libertà e che, invece, è il terreno di cultura dei nuovi interessi coperti dalla giustificazione burocratica.
Questo modello non è però più credibile poiché non è più valido l’assunto che, laddove si formi una volontà politica capace di progettare e realizzare leggi che modifichino l’asseto sociale, la burocrazia proceda poi meccanicamente ed automaticamente all’applicazione delle scelte maturate da quella specifica volontà politica. E’invece vero l’inverso e cioè che la sola volontà politica che può davvero formarsi è quella che si conforma con i modelli e le procedure e lo specifico potere burocratico esistente sia pubblico che privato e che qualunque nuovo modello di organizzazione sociale sia a priori impedito ove non si disegni calli graficamente a fianco delle formazioni di potere burocratico esistente.
Burocrazia e tecnocrazia
Ben lontana dall’analisi classica weberiana (controllo impersonale e formalizzato) la burocrazia attuale si presenta come deformazione professionale del burocrate, come incapacità addestrata nel prendere decisioni, come scaricabarile, come ricerca del perfezionismo formale, come apparato di potere che tende a perpetuarsi sottraendo energie positive ai sistemi sociali, come apparato di regole per assicurare a se stessa il suo perpetuarsi, come continuo spostamento dei mezzi in fini, come macchina in grado di autoriprodursi contaminando i principi democratici, come struttura autoreferenziale del tutto priva di responsabilità nei confronti dell’ambiente umano che la circonda e come brodo di coltura dei gruppi di interesse “opachi alla visibilità sociale” (con questa espressione, perfettamente aderente alla realtà della superclass attuale intendevo, anni fa all’epoca del mio Sociologia di Sagunto le formazioni clientelari, mafiose o esoteriche che raccolgono i veri interessi da promuovere a scapito di quelli dei cittadini).
Le multinazionali fanno a meno della burocrazia giacché sono strutture adhoccratiche (ovvero costruite intorno allo scopo) senza scivolamenti dei mezzi in fini. Se i fini ci sono, sono talmente ben nascosti attraverso la fitta produzione di teorie dei complotti che hanno finito per nascondere il più vero e semplice complotto: la nascita e la conservazione di una superclass internazionale che ha imparato a governare l’economia del mondo senza farsi riconoscere.
Il principale alleato di questa superclass è proprio il ceto dei burocrati statalisti e privati che agisce, in primo luogo, attraverso la caduta della trasmissione culturale perché, confondendo la legalità con la giustizia, impedisce la formazione del sentimento di valore nell’intimo della coscienza della persona che delega e si affida alle regole (spesso arbitrarie) degli amministratori della presunta legalità.
E’ da questa casta che il potere delle multinazionali attinge e seleziona i burocrati che diventeranno i tecnocrati amministratori internazionali del potere e della finanza a nome e per conto delle agenzie di cui sono in parte dipendenti in parte soci.
La convinzione della correttezza dell’analisi weberiana ci ha impedito di vedere la verità ovvero quello sviluppo della casta burocratica, ben intravisto dal nostro genovese dimenticato (o rimosso?) Vilfredo Pareto nella sua analisi sulle èlites. Il processo di costante rinnovamento delle élites sul mondo dei governati viene interpretato attraverso un meccanismo di selezione che, pur non riuscendo a stabilire un formalizzazione matematica della curva di stabilità dei sistemi di governo e di marginalità in rapporto con la medietà della condizione economica diffusa nel sistema, propone una visione di equilibrio fondato sulle caratteristiche della natura umana.
La sua teoria di stratificazione sociale si adatta a varie epoche e a varie tipologie di rapporto tra governanti e governati all’interno del quale cambiano le forme pur rimanendo identica la sostanza del rapporto di potere che sta in un equilibrio ondulatorio e si differenzia a seconda della forma che i diversi poteri (compreso quello burocratico) assumono. Le disuguaglianze sociali sono per Pareto una forma naturale di differenziazione sociale nella distribuzione di risorse che sono sempre scarse anche in funzione di nuovi bisogni emergenti e il compito delle élites è quello di garantire la distribuzione equilibrata di tali risorse e, ove l’equilibrio non venga raggiunto, accade una trasformazione funzionale delle medesime élites. Il motivo del disequilibrio è individuato nella permanenza di criteri non logici, residuali presenti nella mente umana che allontanano dalla razionalità perfetta per dare giustificazione a posteriore delle interpretazioni e delle scelte operate in modo non logico. Oggi chiameremmo questi processi residui del primitivo emergente nell’umano e ricorso a forme di pensiero magico.
Il modello politico sociale che Pareto propone è molto utile per analizzare il passaggio dalla burocrazia alla tecnocrazia. il primo luogo l’equivalenza tra potere e ricchezza in ragione delle possibilità che la gestione dell’economia da per il modellamento delle relazioni sociali. In secondo luogo le qualità e le informazioni in possesso da parte delle élites che, in ragione di potere e ricchezza, hanno a disposizione molti più strumenti rispetto alle persone prive di conoscenze avanzate che, se non costantemente aggiornate e producesti continui aggiustamenti dell’assetto di potere, possono condurre quella particolare élite alla decadenza ed alla sostituzione ciclica dei membri che la compongono. Un buon livello di mantenimento di una formazione di élite si attua attraverso la permanenza, anche non socialmente visibile, della sua struttura ed il costante ricambio dei suoi membri. La morale delle élites è sempre giustificativa perché è residuale e la sua azione è sempre dichiarata come improntata sul benessere collettivo.
Nelle analisi delle élites all’interno della democrazia Pareto vede le consorterie e le clientele attivate dalle burocrazie e dalle rappresentanze politiche dotate di un ruolo fondamentale per mantenimento dell’equilibrio e considera tali fenomeni clientelari la nuova forma che assume nella contemporaneità il vecchio vassallaggio nel feudalesimo.
Con la teoria delle elite è molto più facile comprendere l’attuale forma di gruppi di interesse opachi alla visibilità sociale che sta alle spalle del potere tecnocratico che, come si è detto, è il punto di arrivo del potere burocratico.
Le consorterie delle élites nella web society
Uno dei luoghi organizzativi e decisionali delle élites contemporanee è universalmente conosciuto come Gruppo Bildeberg. Esso prende il nome dal primo Hotel in cui si riunì in Olanda, nel 1954, per iniziativa del banchiere David Rockefeller “due partecipanti per ogni nazione, uno per la parte liberale e l’altro per l’opposta parte conservatrice. Cinquanta delegati da undici paesi europei insieme a undici delegati statunitensi parteciparono a quella prima conferenza. Il successo di questo primo incontro spinse gli organizzatori a pianificare delle conferenze annuali. Fu istituita una commissione permanente con Retinger nel ruolo di segretario permanente. Alla morte di Retinger divenne segretario l’economista olandese Ernst van der Beugel nel 1960 e in seguito la posizione fu rivestita da Joseph E. Johnson, William Bundy e altri. Molti partecipanti al gruppo Bilderberg sono capi di Stato, ministri del tesoro e altri politici dell’Unione europea ma prevalentemente i membri sono esponenti di spicco dell’alta finanza europea e anglo-americana”[7]. “Il gruppo, prosegue Wikipedia, si riunisce annualmente in hotel o resort di lusso in varie parti del mondo, normalmente in Europa, e una volta ogni quattro anni negli Stati Uniti o in Canada. Ha un ufficio a Leida nei Paesi Bassi. I nomi dei partecipanti sono resi pubblici attraverso la stampa ma la conferenza è chiusa al pubblico e ai media. Le Bilderberg Conferences sono considerate uno dei “think tank” dell’ideologia neoliberista insieme al Cato Institute e la Heritage Foundation negli Stati Uniti, l’Adam Smith Institute e l’Institute of Economic Affairs in Gran Bretagna, la Mont Pelerin Society fondata in Svizzera nel 1947, la Trilateral Commission, nata nel 1973 su iniziativa delle precedenti [descritta da Luciano Gallino, Finanzcapitalismo. La cività del denaro in crisi, Einaudi]. Dato che le discussioni durante questa conferenza non sono mai registrate o riportate all’esterno, questi incontri sono stati oggetto di critiche e di varie teorie del complotto, come ad esempio quella sostenuta da Daniel Estulin nel libro Il Club Bilderberg. Gli organizzatori della conferenza, tuttavia, spiegano questa loro scelta con l’esigenza di garantire ai partecipanti maggior libertà di esprimere la propria opinione senza la preoccupazione che le loro parole possano essere travisate dai media. [Emanuele Menietti, Monti, i Bilderberg e la Trilaterale, Il Post, 14 novembre 2011. URL consultato il 5 agosto 2013]”[8].
Il gruppo, che si rinnova cooptando personalità emergenti dalle burocrazie politiche internazionali e dai consigli di amministrazione delle multinazionali, ha l’obiettivo di orientare il processo di globalizzazione dell’economia che, iniziata negli anni ’70 con gli auspici di una liberalizzazione del commercio mondiale e istituzionalizzata nel WTO nel 1995 con 164 paesi aderenti e 22 osservatori, ha prodotto le poderose crisi dell’economia a cui stiamo assistento.
“Tra gli aspetti positivi della globalizzazione, vedi Wikipedia, vanno annoverati la velocità delle comunicazioni e della circolazione di informazioni, l’opportunità di crescita economica per paesi a lungo rimasti ai margini dell’economia, la contrazione della distanza spazio-temporale, e la riduzione dei costi per l’utente finale grazie all’incremento della concorrenza su scala internazionale. Gli aspetti negativi sono il degrado ambientale, il rischio dell’aumento delle disparità sociali, la perdita delle identità locali, la riduzione della sovranità nazionale e dell’autonomia delle economie locali, la diminuzione della privacy”.
Il processo di globalizzazione, innescato dalle élites burocratiche e tecnocratiche, sembrerebbe tendere all’organizzazione di un nuovo stato mondiale in cui le multinazionali hanno il ruolo di dirigere gli orientamenti del mercato e dell’economia. Il processo di globalizzazione ha il suo primo grande arresto nel segnale della crisi globale del 2006 quando, a seguito della messa in atto da parte della banche internazionali di alcuni nuovi strumenti finanziari ad alto rischio (i Credit Default Swap che trasferiscono i rischi a terzi, i mutui subprime concessi dalle banche senza ricorrere a efficaci garanzie di restituzione e gli Hedge Funds, fondi di investimento gestiti da privati e fondati su derivati e vendite allo scoperto), esplode la bolla immobiliare e, soprattutto, assicurativa. Non è ancora dato di comprendere quanto tale crisi sia deliberata o accidentale nella fase attuale di globalizzazione tutta focalizzata sulla fiducia nel mercato come meccanismo automatico di produzione e distribuzione dei beni. Alle spalle di questa visione ci sono enormi interessi economici di concentrazione della ricchezza e del potere mentre le organizzazioni non governative denunciano la globalizzazione come causa delle diseguaglianze mondiali e del processo di impoverimento delle società.
Se utilizziamo la teoria delle élite di Pareto in sostituzione delle teoria weberiana della burocrazia possiamo osservare il fallimento della cooptazione tecnocratica di costituzione delle elitarie aristocrazie emergenti nell’attuale establisment che cerca di mantenere il potere a scapito del malessere generale dilagante in ogni parte del mondo. Ciò implica però anche un assoluto ripensamento intorno ai processi burocratici su cui si fonda l’equilibrio degli stati postmoderni. Giungendo alla conclusione sociologica che la burocrazia, come strumento organizzativo, non è in grado di gestire la transizione verso la web society allo stato nascente. E’ l’idea stessa del processo burocratico, ormai assolutamente implementato nell’ideologia organizzativa dei sistemi, ad essere il principale ostacolo per visualizzare la forma delle interconnessioni in rete che la web society sta realizzando. Non è più possibile pensare a processi gerarchici con lunghe catene di comando e con molteplici gradi e livelli di potere che si verticalizzano a cascata con sistemi quasi meccanici di comunicazione, di trasmissione di comunicazioni e di ordini nella attuale complessità sociale. Tali catene di comando generano modificazioni che hanno sempre effetti indesiderati e non preventivabili nella interconnessione della complessità. Se vogliamo uscire dalla attuale crisi prima che sia troppo tardi occorre che le burocrazia si tolga di mezzo e lasci crescere la società relazionale delle reti sociali che, in ragione delle diverse qualità relazionali che riescono ad esprimere, potrà davvero consentire quella autoregolazione del sistema che, ancora una volta nella storia, nasce dal basso.
La via di uscita
La crisi degli stati postmoderni e della realizzazione del welfare state è strettamente connessa all’incapacità delle formazioni burocratiche di gestire la complessità. L’antidoto alla burocrazia è la semplicità. La semplicità è una dote della relazione umana che distingue l’essenziale dal superfluo. Su questa base è possibile valutare la soglia di formazione del modello burocratico di organizzazione sociale giacché ciascun tipo di formazione sociale si presenta come una personalità collettiva individuata pur avendo come riferimento un modello di identità collettiva che la rende possibile entro un certo range di caratteristiche sociali. Quando una personalità collettiva di gruppo espande le sue caratteristiche perde la sua identità e o si scioglie o diventa una cosa diversa.
“Se il gruppo non si accorge della necessità di cambiare il tipo di interazione si trova di fronte al problema della sopravvivenza: con cui si deve intendere, o la sopravvivenza di quel gruppo particolare, o la sopravvivenza di quel tipo di gruppo”[9].
La burocrazia ha tentato di diventare oligarchia e si è trasformata in qualcosa di diverso che ha giustificato con residui e tecniche argomentative ben descritte come tentativi di spiegazione della natura e del funzionamento dei simboli (che Pareto chiama derivate) che garantiscono il funzionamento del discorso giustificativo sociale. Ovvero la spiegazione del motivo della propria esistenza. Tali residui sono, sempre secondo Pareto, arbitrari rispetto alle effettive motivazioni dell’agire e sono tratti archetipici nella natura umana che risalgono a simboli arcaici utilizzati dal pensiero magico primitivo (o infantile) per dare giustificazione a fenomeni altrimenti non comprensibili razionalmente. la regressione al pensiero magico da parte della burocrazia si è concretizzato nella sua adesione agli esoterismi come processi interpretativi della realtà: un chiaro ricorso al pensiero magico per mancanza di teorizzazione razionale con cui affrontare i fenomeni emergenti. Proprio per questo motivo anche le cooptazioni nella tecnocrazia non hanno funzionato perché obbedivano maggiormente a logiche di consorteria che non a processi di selezione autenticamente meritocratica. Questa degenerazione è avvenuta a tutti i livelli del potere burocratico ed ha utilizzato abilmente metodi di selezione falsamente oggettivi come i concorsi (guidati) di selezione del personale o bandi ed appalti disciplinati a priori affinché fosse selezionato chi era stato già deciso dovesse esserlo. In tali tipi di selezione (che sono assolutamente facili ed immediati per chi è immerso nella mentalità burocratica) sono intervenuti oltre agli interessi economici e politici, clientelari e di corruzione/concussione anche interessi ideologico/esoterici rientrati nella sfera del pensiero magico delle logge attraverso la cultura new age e il relativismo esistenziale che ha indotto con caduta di processi di solidarietà in funzione del potenziamento dell’egocentrismo (rafforzato da specifiche tecniche di meditazione) e dell’ipocrisia relazionale.
Questa modificazione esoterica delle giustificazioni ha condotto la burocrazia tecnocratica ad uno stadio di pensiero onnipotente che la ha resa pericolosa per l’equilibrio del sistema.
Il suo ridimensionamento è possibile mediante una teoria relazionale che sappia riconoscere la qualità di ciascuna formazione di personalità collettiva e sappia trasmettere le corrette informazioni affinché non si travalichi il campo di esistenza di ciascuna tipologia di formazione sociale. la rilettura di Pareto è davvero indispensabile laddove ad essa si affianchi un modello interpretativo della sovrapposizione, nelle reti, delle diverse formazioni sociali che costituiscono I plurimi mondi della vita di ciascun essere umano. tale tendenza alle combinazioni, sempre ricordando il pensiero di Pareto, genera le autentiche novità stabilizzandole a livello psicologico attraverso il bilanciamento tra mantenimento dell’ordine e trasformazione in base alle istanze di giustizia e non attraverso le ideologie esoteriche.
Il collasso organizzativo della burocrazia tecnocratica dipende dal non aver capito i confini della sua personalità collettiva ed averli travalicati sulla base della logica della dialettica hegeliana. La convinzione dell’automatismi della sintesi a seguito della giustapposizione tra tesi e antitesi è un modello di pensiero limitato alla considerazione di due variabili in gioco che non sono assolutamente sufficienti a gestire la complessità ove si voglia operare a livello sistemico (se si tratta di un esercizio limitato intorno ad un evento circoscritto e limitato funziona invece benissimo perché si appoggia al principio di causa/effetto).
Non può essere questa la sede dove presentare la teoria relazionale delle personalità collettive[10] ma solo per anticipare alcuni concetti connessi al modello ed alla costruzione matematico statistica delle formazioni di personalità collettiva.
Ma la dialettica è anche la prigionia della burocrazia perché, oltre la soglia di tre passaggi nell’esercizio del controllo formale della filiera organizzativa si forma la catena burocratica a meno che non venga posto in essere un nodo reticolare decisionale su tutto il percorso organizzativo, a monte ed a valle. La soglia di tre non è solo applicabile agli individui concreti che amministrano ma anche agli oggetti amministrativi che debbono essere utilizzati. Laddove una decisione comporti l’osservanza contemporanea di tre o più oggetti amministrativi (leggi, decreti o regolamenti) pertinenti all’atto su cui si deve esercitare una decisione, emerge il costrutto del pensiero burocratico che tenderà più a proteggere se stesso che a prendere una decisione favorevole alla risoluzione di un problema concreto.
La realizzazione della semplicità è possibile solo spostando l’accento sul problema concreto verso cui l’amministrazione si rivolge, sia esso un bersaglio del soccorso o una vittima dell’ingiustizia.
Il processo di controllo del controllo del controllo deve decadere di fronte al ruolo dell’essere umano che viene soccorso o che viene considerato vittima. E’ la sua soggettività la ragion d’essere della amministrazione e quindi della potenziale semplificazione del sistema burocratico. Tale riorganizzazione è urgente prima che la burocrazia riesca a contaminare (come purtroppo già sta facendo) la semplificazione comunicativa potenziale nella web society. Proprio per la complessità che la burocrazia ha artatamente introdotto nell’informatizzazione, al fine di mantenere il suo potere, siamo di fronte ad una enorme delusione collettiva dinnanzi a portali incomprensibili, a modelli e moduli informativi deliranti, a comunicazioni impersonali inutilmente filtrate e canalizzate che tendenzialmente inducono a preferire la vecchia comunicazione cartacea (che riappare oggi frequentemente come un doppione) rispetto alla istantaneità della comunicazione informatica.
Il processo di contaminazione delle connessioni del web da parte della burocrazia sta accelerando in modo esponenziale attraverso gli spid, la fatturazione elettronica, i voucher, la virtualizzazione del denaro, con l’ipocrita scusa di combattere l’evasione fiscale, ben sapendo che la vera evasione è invece quella delle multinazionali che la burocrazia protegge proponendosi essa stessa come realtà sovranazionale.
Il contagio dell’ipocrisia burocratica è automatico giacché quando una persona si propone come ipocrita costringe gli altri a fingere di non accorgersi che lui è ipocrita e, quindi, a diventare essi stessi ipocriti. Ciò implica una doppia finzione che nasconde la verità dell’umano in un luogo quasi inaccessibile a meno che non venga visitato con la capacità empatica di sentire anche la falsità, la doppia falsità, la costruzione del modello ipocrita e, da ultimo, il processo egoistico che ha attivato tutto ciò.
Anche il concetto di democrazia ha il suo campo di esistenza perché i metodi della democrazia sono molteplici e possono essere scelti a priori sulla base degli obiettivi che funzionalmente vogliono raggiungere. La contaminazione politica del concetto di democrazia è particolarmente pericoloso qualora, come oggi, si voglia utilizzare un modello di sistema elettorale non finalizzato a comprendere le esigenze dei cittadini a ma garantire o meno la prevalenza di una formazione politica sull’altra.
Per fortuna le tecnologie sociologiche dei sondaggi consentono, anche se ancora in modo precario, la ricognizione sugli orientamenti elettorali ma sono ben distanti dal poter garantire in modo organizzato una indispensabile pluralità di sistemi elettorali che vanno dalla democrazia diretta a quella rappresentativa individuale (proporzionale con scelta del candidato) a quella rappresentativa per raggruppamenti (collegi con candidati preselezionati) fino a impegnare la dialettica in scelte di coalizione programmatiche o a potenziali accordi introno a temi o introno a maggioranze di governo. Credo che il dibattito intorno alla forma democratica più giusta sia il problema di chi si orienta sulla base delle convenienze del suo sistema di potere mentre la teoria delle personalità collettive offre una visione dei diversi sistemi affiancati l’uno l’altro con pari dignità a seconda delle questioni che sono sul tappeto e della loro complessità. Siamo però ancora molto lontani anche solo dall’intuire le potenzialità delle connessioni della web society per affrontare la tematica delle diverse forme democratiche per la risoluzione di diverse problematiche.
Nella rete comincia però a sfuggire al controllo politico burocratico l’informazione che tendenzialmente passa più attraverso i social di quanto non cammini sulla superficie del sistema dei mass media orientati ed obsoleti. La presenza di molecole di socialità che fondano la loro comunicazione di sopravvivenza attraverso gli strumenti della connessione non è ancora sufficientemente consapevole per contrastare la diffusione della malattia relazionale e per opporsi al dilagante disagio mentale prodotto dalla concezione burocratica del potere e dalle sue patologie. E’ però probabile che il secolo attuale sappia risolvere l’enigma che sta alle spalle della relazione se vorrà curare le follie regressive che si sono insinuate, attraverso i veicoli dell’ipocrisia e della burocrazia, nei diversi sistemi organizzativi, amministrativi e politici, fino a corrompere il concetto stesso di democrazia.
Costruire i legami che tengono insieme le molecole è la via praticabile da chi voglia tendere a relazioni interpersonali evolute e sa di non potersi accontentare di gravitare intorno alle correnti comunicative. C’è un “di più” nelle potenzialità dell’uomo che si realizza solo quando riusciamo a vedere realizzati i valori costruiti nei secoli dell’evoluzione relazionale della nostra specie.
In questo orizzonte, libero dalle piccole beghe dei partiti politici, è possibile produrre quell’apertura mentale che ci metta al passo con i tempi e non ci faccia cadere nelle bagarre senza senso che riempiono i giornali e sono incomprensibili.
Note
[1] Nel 2016 sono più di 20 le multinazionali con sede in Italia (Bialetti, Omsa, Rossignol, Ducati Energia, Benetton, Calzedonia, Stefanel, Telecom, Wind, Vodafone, Sky Italia, Almaviva, Magneti Marelli, Bianchi, Vesuvius, per citarne alcune) che, dopo aver ricevuto incentivi da parte dello stato, hanno delocalizzato la produzione in altri paesi licenziando i loro dipendenti in Italia.
[2] Basti pensare alla sede fantasma della Apple in Irlanda da dove convoglia con facilità gli utili nei paradisi fiscali o la sede di Amazon in Lussemburgo dove paga solo l’1% di tassazione. Un calcolo di massima su tali forme di evasione perfettamente legale poiché gioca sui vantaggi offerti dalle arretratezza degli Stati rispetto alla velocità operativa delle multinazionali, vede nella somma di mille miliardi il mancato introito fiscale degli stati europei evaso dalle multinazionali.
[3] Coccia M., Gobbino A., La burocrazia nella ricerca pubblica Parte I, Una Rassegna dei Principali Studi, Ceris-Cnr, Italia e Max-Planck Institute of Economics, Germania, 2006. Tutte le riflessioni seguenti sono una sintesi di tale lavoro del quale scelgo di non virgolettare la parti citate per rendere più scorrevole la lettura.
[4] Della Rocca G., « Burocrazie e declino della burocrazia », Quaderni di Sociologia, 33 | 2003, 137-152.
[5] Spesso di fronte ad articoli di cronaca che vedono imprenditori o amministratori coinvolti in processi di corruzione viene infatti da chiedersi chi glielo abbia fatto fare di rovinarsi la vita con un reato, con i processi penali e civili in cui i soggetti sono coinvolti, con le conseguenze di immagine e di discredito a cui si espongono. La risposta è che non era possibile fare a meno di pratiche trasversali e trasgressive se si voleva realizzare l’impresa prefissa.
[6] Della Rocca G., « Burocrazie e declino della burocrazia », Quaderni di Sociologia, 33 | 2003, 137-152.
[7] Da Wikipedia, voce Gruppo Bildeberg, il testo rimanda come riferimenti a Alden Hatch, The Hôtel de Bilderberg, in H.R.H. Prince Bernhard of the Netherlands: An authorized biography, Londra, Harrap, 1962. «The idea was to get two people from each country who would give the conservative and liberal slant»; allo stesso Rockefeller: David Rockefeller, Memoirs, Random House, 2002, p. 412. e a Bilderberg: List of Invitees (PDF), Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, 31 gennaio 1996. URL consultato il 6 giugno 2009 (archiviato dall’url originale il 19 maggio 2006).
[8] idem
[9] Klein J. (1956), The study of groups, N.Y. Routeledge & Kegan, trad. it Sociologia dei gruppi, Torino, Einaudi, 1968, pag. 193
[10] Masini V., Dalle emozioni ai sentimenti, ed Prepos, 2001; Lo stress da condominio, Relazione presentata al Convegno Nazionale ANACI, Il Corriere della Sera, del 27.05.2002; Affinità e opposizioni, Per un agire comunicativo mirato all’intesa ed alla regressione del conflitto, Relazione presentata al Convegno Comunicazione e risoluzione dei conflitti, Università di Arezzo, 2002; Idealtipi di religiosità e dialogo interreligioso, in Berti, De Vita, Pluralismo religioso e convivenza multiculturale: un dialogo necessario, Angeli, 2002; Relazionalità e cultura del civile, in Melchior C. (a cura di) , La rappresentazione dei soggetti collettivi, A.I.S., Udine, 2003; Le personalità collettive nel gruppo di lavoro, in Sociologia, n.2, 2003; L’educazione e la didattica appropriata per ciascuna personalità collettiva di classe scolastica, Istituto di Tecnologie Didattiche del CNR, n.3, 2004; Valutazione della qualità relazionale e predittività del burn out e del mobbing nei gruppi di lavoro dei servizi per la giustizia minorile, (in coll.), Rassegna di Servizio Sociale, N.2 2005; Il contributo delle scienze sociali all’analisi della crisi dell’impresa in S. Pacchi (a cura di) , Il Nuovo Concordato Preventivo, IPSOA, Trento, 2005; Vincenzo Masini , Relazioni di personalità collettiva, equilibrio, empatia sociosistemica e governance, in Riccardo Prandini La realtà del sociale: sfide e nuovi paradigmi, Angeli, 2005; Dai valori alle relazioni interpersonali, Atti per Convegno Relazioni e valori, Università di Perugia, 2007; Job Analisys And Research On Counselor’s Profession, NBBC INTERNATIONAL; Miglioramento relazioni interpersonali nel gruppo classe, in L cultura della legalità, Ministero Istruzione, Università e ricerca, Roma 2010; Agape e affinità intenzionale, in SOCIALONE Agire agapico e scienze sociali, Castelgandolfo 6 giugno 2008, HHUUhttp://www.social-one.org/it/component/docman/cat_view/47-seminario-2008.htmlUU; ;Dizionario di counseling relazionale e personologico, ed Montag,2013; La svolta relazionale, Edizioni Prepos, 2016.