L’archetipo è l’immagine originale, l’esemplare di riferimento, l’idea del prototipo su cui si costituisce la norma, la forma primitiva di un pensiero. In chiave relazionale l’archetipo è il modello inconscio di riferimento predeterminato sul significato di una relazione che siamo soliti non investigare perché diamo per scontata la comprensione universale di quella relazione.
Carl Gustav Jung ha formulato in modo esplicito la teoria degli archetipi[1]. Egli afferma che essi sono impostazioni psichiche innate trasmesse in modo ereditario. “La mia tesi, dunque, è la seguente: oltre alla nostra coscienza, che è di natura del tutto personale e che riteniamo essere l’unica psiche empirica (anche se vi aggiungiamo come appendice l’inconscio personale), esiste un secondo sistema psichico di natura collettiva, universale e impersonale, che è identico in tutti gli individui. Quest’inconscio collettivo non si sviluppa individualmente ma è ereditato”[2].
Tali prototipi universali precedono la coscienza individuale e sono sorti nell’antichità, in una fase della evoluzione in cui l’essere umano era in grado di percepire il mondo intorno a sé, ma non aveva ancora sviluppato la coscienza riflessiva.
La mitopsicologia ha esteso l’’uso degli archetipi all’analisi delle divinità dell’ antica Grecia e alle loro corrispondenze con le emozioni di base umane: ha associato le dee Era, Demetra, Persefone, Artemide, Atena e Afrodite, gli dei padri Zeus, Poseidone e Ade, gli dei figli Ares, Dioniso, Ermes, Apollo, Efesto alla maternità, alla paternità, all’intelligenza, all’amore, alla guerra e all’aggressività, alla bellezza, ecc.
Parimenti anche nella mitologica biblica compaiono l’archetipo di Adamo, Eva, Abele, Caino, Noè, Giacobbe, Davide, Mosè, Abramo, Isacco a rappresentare paternità e maternità, gelosia, prudenza, coraggio, religiosità, ecc.
Archetipi sono anche i miti della religione induista, Brahma (l’architetto dell’universo), Ganesh (la perfezione), Shiva (l’energia maschile), Vishnu (la potenza), Shakti (l’energia femminile), Brahma (il principio creativo), Kali (la guerra), Agni (il fuoco), Dyaus (il cielo), Prthivi (la terra), Parvati (la rigenerazione). Altre serie di archetipi compaiono nel contesto mesopotamico (l’acqua, il diluvio, la montagna, la torre), nelle società precolombiane della Mesoamerica e del Perù (il diluvio, i gemelli divini, il sacrificio dell’innocente, il culto solare), nell’antico Egitto (il sole, la vita, l’immortalità, la conoscenza, la potenza, la regalità).
Il simbolismo della Kabbalah ebraica, nell’interpretazione di Eliphas Levi, attribuisce significati archetipi alle 22 lettere dell’alfabeto ebraico: Aleph – Padre; Beth – Madre; Ghimel – Natura; Daleth – Autorità; He – Religione; Vau – Libertà; Dzain – Proprietà; Cheth – Ripartizione; Theth – Prudenza; Iod – Ordine; Caph Forza; Lamed – Sacrificio; Mem – Morte; Nun – Reversibilità; Sarnech – Essere Universale; Gnain – Equilibrio; Phé – Immortalità; Tsade ‒ Ombra e riflesso; Koph – Luce; Resch – Riconoscenza; Shin ‒ Potenza totale; Thau – Sintesi.
Più noti sono gli archetipi dei tarocchi: il bagatto, la papessa, l’imperatrice, l’imperatore, il papa, l’amante, la giustizia, l’eremita, la ruota della fortuna, la forza, l’appeso, la morte, la temperanza, il diavolo, la torre, la stella, la luna, il giudizio, il mondo, il matto.
Sono poi di estrema diffusione gli archetipi degli oroscopi occidentali (Ariete, Toro, Gemelli, Cancro, Leone, Vergine, Bilancia, Scorpione, Sagittario, Capricorno, Acquario, Pesci) o cinesi (Topo, Toro, Tigre, Coniglio, Drago, Serpente, Cavallo, Capra, Scimmia, Gallo, Cane, Maiale).
Lo stesso Jung si era addentrato nella descrizione degli archetipi delle diverse culture al fine di interpretare i prodotti onirici e aveva individuato il Fanciullo Divino, il Vecchio Saggio, la Grande Madre, l’Eroe, il Briccone Divino, e poi l’animale infernale, in forma di serpente o di drago, e l’eroe liberatore, il senso di caduta nel vuoto, la caccia selvaggia, la putrefazione, la virescenza del bosco, l’aggressione subita da parte di insetti, gli escrementi, il deserto lunare, la caduta della volta celeste, il terrore di essere sommerso da masse acquatiche, ecc. Solo più tardi Jung definirà come elementi archetipici essenziali il “Sé” (il risultato del processo di formazione dell’individuo), l'”ombra” (la parte istintiva e irrazionale contenente anche i pensieri repressi dalla coscienza), l'”anima” (la personalità inconscia femminile) e l'”animus” (la personalità inconscia maschile).
In seguito alla legittimazione della teoria dell’inconscio collettivo sono comparsi sulla scena suggestivi e innumerevoli modelli archetipali. Ad esempio, la cultura Reiki individua come archetipi l’innocente, l’orfano, il guerriero, l’angelo custode, il cercatore, l’amante, il distruttore, il creatore, il sovrano, il mago, il saggio, il folle.
Tuttavia, una tale estensione del concetto di archetipo ne ha probabilmente depotenziato il significato, sia perché gli archetipi originali vengono di continuo rielaborati e associati a simboli arcani e cangianti sia perché rischiano di essere sommersi dal fiume della comunicazione pseudoesoterica.
Dal punto di vista della teoria relazionale può essere utile fare riferimento al concetto originale di archetipo e, una volta purgato da suggestioni e esoterismi e precisato, ritenerlo ‒ con Jung ‒ come una forma a priori nella psiche umana. Neumann approfondisce questa chiave evolutiva e vede gli archetipi come modelli originari di essere, di pensare, di sentire e di agire e Hillman, un allievo di Jung, delinea una psicologia archetipica che li collega alle principali rappresentazioni della vita umana e della relazione interumana. La teoria relazionale interpreta gli archetipi fondamentali come figurazioni simboliche delle esperienze relazionali che si sono sedimentate nell’inconscio collettivo.
[1] Jung Carl G., cit.
[2] Jung Carl G., cit. p.82
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