Dissoluzione degli archetipi e nativi digitali
( tratto da La svolta relazionale)
La caduta di riferimenti nella cultura contemporanea non riguarda solo gli archetipi messi in discussione, ma investe il complessivo stile di vita che, accanto alla sensazione di apparente aumento di libertà, riduce invece le sicurezze e le possibilità di scelta, in ragione della scarsa trasparenza degli obiettivi e della complicazione nelle strategie da intraprendere. Intendo dire che la scelta di un percorso scolastico, di un lavoro o di una professione, di una abitazione è centrata quasi esclusivamente sull’immagine di sé che promette e non sulla loro sostanza effettiva.
L’unica meta su cui verte l’interesse è il benessere e il successo. Quest’ultimo viene perseguito anche nei più piccoli momenti della vita quotidiana: il successo nel dire una battuta, i “mi piace” ottenuti su facebook, la gloria nel segnare un goal o prendere un buon voto. La forma mentale attuata per ottenere la sensazione di successo è la contrapposizione tra essere “ON” e essere “OUT”. Non si tratta più dell’antinomia IN/OUT, come nel passato, ma di essere “accesi”, di essere “su”, “connessi” nell’esaltazione di aver ottenuto successo, oppure essere fuori.
La vita personale viene è postata, resa pubblica sul web per accendere quella sensazione e i rapporti con gli altri sono valutati sulla base del ritorno di successo che offrono. La fatica necessaria per raggiungere mete e obiettivi non è apprezzata in sé ma solo in funzione dei benefici di successo che garantisce. Lo stesso vale per la vita di relazione, che si riduce progressivamente a sistemi di comunicazione in entrata e in uscita privi di sostanza relazionale e funzionali solo alla soddisfazione psicologica immediata.
I cambiamenti in atto sconvolgono anche la vita relazionale degli adulti, ma è la qualità della vita nelle nuove generazioni, dei cosiddetti “nativi digitali”, a rischiare di portare verso un progressivo disastro, in quanto a essere messo in discussione è il senso stesso della relazione.
Se le problematiche legate all’esposizione emozionale degli anni ’70 causarono una grande quantità di disagi per i giovani, oggi l’esposizione ai modelli mentali della rivoluzione informatica ne propone di nuove e di inedite. Gli anni della liberazione delle emozioni hanno registrato un picco sia dell’uso di sostanze psicotrope e psicoattive sia dei problemi emozionali dell’umore e alla loro copertura con antidepressivi. In quel caso, il rischio di deriva riguardava la destrutturazione dei sentimenti, più fragili e più rari delle emozioni, e la conseguente caduta di valori a essi associati. Al contempo, però emergevano anche nuovi valori, volti alla crescita personale e all’individuazione soggettiva, che hanno aperto possibilità e proposto stimoli molto innovativi anche nel campo delle relazioni.
Pur implicando un consumo emozionale ancora più ampio, la rivoluzione digitale verte su altri aspetti dell’umano e incide maggiormente sulle forme del pensiero.
Il cyberspazio è un contenitore nel quale le persone possono comunicare attraverso identità che nascono solo dalla loro immaginazione. La realtà virtuale, “cyberdelic”, nasce da personaggi che provengono dalla controcultura psichedelica della beat generation degli anni 60-70, senza la quale probabilmente i computer non sarebbero esplosi sullo scenario mondiale.
L’enorme potenziamento della comunicazione mediante il cyberspazio non espone al solo rischio, per noi centrale, della confusione tra comunicazione e relazione, ma consente anche la formulazione e la divulgazione istantanea di concetti e teorie sulle questioni fondamentali del senso della condizione umana spesso non sostenuti da criteri etici e strumenti critici condivisi e verificati: oltre alla distinzione tra maschile e femminile, la distinzione tra esseri umani e animali, tra mediatori e manipolatori della spiritualità, tra metafisica e realtà virtuale, tra memoria e apprendimento, tra economia e finanza, tra guerra e pace, tra salute e salutismo, tra competizione e collaborazione, tra rispetto e manipolazione dell’ambiente…
La potentissima accelerazione trasformativa con cui la comunicazione sistemica penetra nei mondi della vita quotidiana rende assolutamente necessaria la purificazione evolutiva degli archetipi di riferimento per far sì che essi possano essere trasmessi alle nuove generazioni quanto più possibile privi di ambivalenze. E impone un attento, assiduo lavoro collettivo verso l’elaborazione di una teoria relazionale che consenta di riconoscere la dialettica interna agli archetipi e distinguere tra ambivalenze inutili e ambivalenze pericolose, spostando queste ultime nel grande cestino delle superstizioni.
Web society e disturbi della forma del pensiero: il pensiero magico
L’informatica e la realtà virtuale inducono stati mentali che amplificano l’esperienza sensoriale e le caratteristiche specifiche della comunicazione, consentono l’anonimato e la assunzione di altre identità, parificano lo status sociale, distorcono la percezione dei limiti spaziali e temporali, consentono relazioni multiple. Proprio per queste loro caratteristiche, tendono a favorire la trasgressione e a ridurre le capacità empatiche.
Non solo. Paradossalmente, il modello digitale del web, che a livello di programmazione ha un rigore matematico assoluto, nelle sue espressioni riesce ad apparire del tutto analogico. Il fatto che i contenuti si sviluppino in orizzontale e le costellazioni del pensiero non si incentrino stabilmente su una meta impedisce al pensiero di sentire lo stimolo a verticalizzarsi in una gerarchia logica, e questo aumenta la possibilità di sviluppare disturbi. Inoltre, le rappresentazioni per immagini, le animazioni e i filmati simulano la realtà con grande efficacia, mobilitando l’attivazione sensoriale e il pensiero intuitivo. Prima gli ipertesti[1], poi i link e le finestre (windows) che si aprono una dentro l’altra, generano una forma di pensiero lineare incapace di gerarchizzare i contenuti e di organizzarli in una mappa. Come una navigazione a vista che ha perso l’obiettivo e la meta.
La condizione mentale del nativo digitale, che si configura prossima alla soglia di un disturbo della forma del pensiero, è anche il punto di arrivo della didattica creativa. Se a tale forma didattica vanno i meriti di aver destrutturato la rigidità dei saperi, va anche il demerito di essere andata ben oltre le intenzioni e gli obiettivi iniziali e di essere divenuta autoritaria nel proporsi come l’unica forma di didattica, indipendentemente dalle caratteristiche dell’allievo. La spinta al cambiamento, conflittuale nei confronti degli eccessi regolativi della didattica premoderna, prosegue senza che ci si renda conto che gli obiettivi prefissi sono già stati raggiunti e che oggi è invece necessaria una nuova prospettiva, incentrata sulla semplificazione e sulla ridefinizione dei modelli cognitivi di base. La prima conseguenza che questo scenario provoca nelle forme del pensiero dei nativi digitali è la mancanza di mappe di riferimento e di delimitazione degli ambiti della cognizione. Inoltre, al fine di consentire alla velocità del pensiero di sostenere la sfida della velocità delle connessioni digitali, è necessario un puntuale lavoro sui ritmi del pensiero. Il rapporto con le connessioni è contradditorio: percepite come esasperatamente lente nel tempo di attesa della accensione di un computer, divengono rapidissime in un passaggio difficile di un videogioco. L’idea dei ritmi del pensiero, del tutto nuova nelle discipline che si occupano di apprendimento e di formae mentis, è di immediata intuizione nei diversi modi di pensare gli oggetti del pensiero: dalla concentrazione tramite focalizzazione su un oggetto, accompagnata dall’attivazione delle onde Beta, alla contemplazione finalizzata alla dilatazione dell’orizzonte mentale per poter cogliere l’oggetto nella sua totalità, accompagnata dall’attivazione dei ritmi Alfa. Nella relazione con la realtà virtuale i ritmi psichici sono invece oscillanti, e non dipendono dall’oggetto ma dalla velocità discontinua e occasionale dei processori. Sono pertanto antinomici all’oggetto del pensiero.
Oltre che essere aleatorie, queste antinomie sono ingovernabili, perché non dipendono né dall’oggetto né dal flusso di pensiero. Ed è per questa ragione che nei nativi digitali si verifica una regressione al pensiero magico.
Il pensiero magico costituisce un tipo di elaborazione cognitiva in cui manca una relazione causale tra soggetto e oggetto. Alla magia vengono attribuite relazioni causali ma, a differenza della scienza, il magico sottende spesso un errore di base nella correlazione delle cause. Assunto fondamentale del pensiero magico è l’idea di poter influenzare la realtà secondo i pensieri e i desideri personali. E di poter interpretare la realtà secondo un flusso di pensiero preveggente[2].
Le credenze magiche risalgono allo stadio preoperatorio, nel quale i bambini costruiscono la loro prima interpretazione della realtà. I bambini attribuiscono un’anima agli oggetti, anche inanimati, poiché nei primi stadi di sviluppo non fanno distinzione tra realtà esterna e interna; un loro gesto può influenzare il verificarsi di un evento senza che vi sia legame logico di causa ed effetto.
La visione magica del mondo permane quanto più viene assecondata da storie, tradizioni e rituali che potenziano la capacità immaginativa (…la paura di ciò che c’è nel buio.. il dentino da latte sul davanzale…i personaggi inventati…). I media, i videogiochi, internet e l’apprendimento intuitivo rinforzano il pensiero magico perché propongono sempre di più invenzioni senza distinzione tra fantasia e realtà. Ciò può produrre la persistenza del pensiero magico (o la regressione a questo stadio del pensiero) oltre la fase preoperatoria fino all’età adulta per motivi difensivi di controllo sulla realtà, propiziatori (con la nascita di veri e propri rituali), o tesi a riempire i vuoti di conoscenza.
Il bambino assimila la relazione con le cose attraverso l’empatia con l’altro e la ripetizione del vissuto e delle motivazioni che promuovono tale vissuto. La ripetizione genera assimilazione, e solo l’insorgere di un progressivo processo di pensiero logico consente di accomodare le conoscenze in modo aderente alla realtà.
Dopo i 6 anni (stadio preoperatorio) il bambino è giunto al riconoscimento di sé, allo sviluppo del linguaggio e al maneggiare simboli, lasciando alle spalle l’egocentrismo infantile, la concentrazione su una sola cosa alla volta, l’irreversibilità, il ragionamento primitivo o trasduttivo, l’identità dell’oggetto, e inizia a classificare gli eventi e a costruire mappe mentali.
L’antinomia tra pensiero magico e pensiero logico è accelerata in questa fase dall’esposizione alla magia dell’informatica: di fronte a una foto su carta la bimba di tre anni, mentre fa scivolare le dita sull’immagine, esclama: “… ma non si apre!…”. L’intuitività del gesto, già esercitato su tablet o smartphone, oggettiva un rapporto con la virtualità che precede il contatto corporeo con gli oggetti reali e rinforza procedure immaginative a scapito della concretezza degli oggetti.
Un secondo elemento che deve destare attenzione è la persistenza dell’egocentrismo infantile. Il bambino non tiene conto dell’interlocutore perché pensa che gli altri provino le stesse cose che prova lui. Non appena la ripetizione primitiva si struttura, si consolida come senso della realtà e diventa proiettiva: tutto il mondo ruota intorno a ciò che il bambino sente. Laddove la realtà gli appaia frustrante, il bambino ne modifica il senso con l’immaginazione, collegando arbitrariamente le cose. Il suo ragionamento primitivo (trasduttivo) ancora non conosce la reversibilità ed egli non è capace di ricostruire la sequenza del ragionamento appena sviluppato. Il mondo virtuale gli offre un incredibile prontuario di gesti, espressioni e comportamenti che può fare suoi e che non richiedono di essere verificati nella relazione. Il mondo virtuale sostituisce le favole, che stimolavano l’immaginazione per decifrare successivamente il contenuto formativo, e potenzia il pensiero magico modificando senza controllo la realtà a cui partecipa: il bambino scongiura un avvenimento disegnando gesti nell’aria, modifica la realtà con il pensiero, propone le associazioni di idee per controllarla o per esprimere il suo desiderio narcisistico. Esamineremo gli effetti di tali premesse nelle patologie degli Hikikomori.
Anche lo sviluppo dello stadio operatorio concreto può essere disturbato dalla realtà virtuale. Le operazioni concrete si fondano sulla permanenza dell’oggetto, sulla classificazione, sulla relazione tra classi di oggetti e il loro ordinamento in serie nelle mappe mentali. Poiché l’organizzazione delle memorie dipende dallo sviluppo della nozione di tempo, collegata dapprima alla velocità degli spostamenti nello spazio (più in fretta è uguale a più lontano), i tempi della realtà virtuale rendono difficile tale traduzione automatica. Concepire il fluire del tempo è assai problematico quando si ha di fronte uno schermo in cui gli avvenimenti sono senza tempo. Se le scene relazionali di un film non hanno tempi morti, perché sintetizzano solo le situazioni significative, le rapide sequenze degli schemi, di un videogioco per esempio, appaiono nella mente del nativo digitale come se fossero oggetti concreti. La velocità del pensiero, la sua forma e i suoi diversi contenuti non riescono a formulare il pensiero ipotetico-deduttivo: immagina ma non trae conclusioni tramite il ragionamento per ipotesi, non conosce il “se avessi fatto…”.
I disturbi del pensiero nei nativi digitali
La natura dei disturbi del pensiero nei nativi digitali (dalla dislessia al calo di attenzione e all’iperattività) si manifesta con deficit sensoriali e difficoltà nelle comunicazioni interpersonali. Spesso hanno atteggiamenti eccentrici e sono maldestri nel compiere azioni o lavori pratici. La loro affettività è limitata, o inappropriata, e li conduce a sperimentare con ansia i contatti sociali.
Le distorsioni cognitive che presentano riguardano la forma, la velocità e anche il contenuto del pensiero, che continua a presentare aspetti magici. Non a caso giocano e si suggestionano all’idea di avere poteri magici, perché hanno bisogno di sentirsi speciali e, se non confermati nel narcisismo egocentrico che li caratterizza, si sentono abbandonati e delusi.
La loro personalità soffre di un tale disadattamento che, accompagnato da ansia sociale e dalla paura di fallimento nelle relazioni, impedisce loro di costruire rapporti con coetanei. Parallelamente, la loro solitudine alimenta il pensiero magico e le idee bizzarre, la tendenza alla trascuratezza e, se provocati e ostacolati nello sforzo di tenere gli altri lontani, può condurre a episodi deliranti.
La polarizzazione dei loro comportamenti tendenzialmente disturbati ne è un chiaro riscontro: da un lato quell’insieme di disturbi degli hikikomori, dall’altro il bullismo.
Hikikomori è un termine giapponese che significa “isolarsi” tramite una volontaria reclusione nella propria stanza ed essere privi di contatto con altre persone, sia famigliari che amici. Questi adolescenti abbandonano la scuola e/o il lavoro, mostrano comportamenti ossessivo-compulsivi, tratti paranoici, manie di persecuzione. Sostituiscono i rapporti sociali con quelli mediati attraverso internet (chat e videogiochi online), si barricano nella propria stanza e perdono progressivamente competenze sociali, abilità comunicative e opportunità.
La loro infelicità si manifesta con scarsa fiducia in se stessi e con aggressività verso i genitori. Le interpretazioni correnti nel mondo giapponese attribuiscono alla mancanza di una figura paterna e alla eccessiva protettività materna l’origine del comportamento hikikomori, che sembra coinvolgere circa un milione di adolescenti giapponesi, solitamente maschi primogeniti.
La realtà virtuale ha un ruolo rilevante nell’innesco della dipendenza e della esclusione sociale, associata alla pressione sociale verso il successo e il raggiungimento di mete di eccellenza che a tali giovani sono negate. La frustrazione per i fallimenti scolastici e le delusioni relazionali li imprigionano in un processo di ritiro sociale sempre più acuto.
Tali valutazioni psicologiche non prendono tuttavia in considerazione il disturbo della forma di pensiero che i nativi digitali manifestano. La loro socializzazione mediante realtà virtuale ha dato forma a un pensiero intuitivo non mediato dalle relazioni che ha senso solo se circoscritto al rapporto non empatico con il mondo digitale, accompagnato da manifestazioni emozionali non coerenti.
Indipendentemente dalla specificità del disturbo hikikomori nel contesto giapponese, peraltro in crescente espansione anche in altri paesi, molti dei disturbi del neurosviluppo presentati dai nativi digitali sembrerebbero collegati alla forma delle costellazioni associative del pensiero. Nella sfera relazionale tali costellazioni appaiono come simboli stabili e condivisi attraverso i quali comunicare e scambiare con altri il contenuto del pensiero. Nei nativi digitali presentano invece ridondanze procedurali, tangenzialità, illogicità, perseverazione, blocchi e deragliamenti. Che tali disturbi della forma del pensiero possano generare dissociazioni dalla realtà con percezioni distorte, anticipazioni del pensiero altrui e perdita dei nessi associativi in costellazioni arbitrarie formulate sulla logica della realtà virtuale è abbastanza evidente.
Il secondo modello di risposta disagiata è il bullismo. La mancanza di limiti relazionali oggettivati conduce anche al fenomeno della prepotenza del bullo. La sua aggressività fisica e psicologica tende a esercitare un potere sadico sulla vittima incapace di difendersi. Nel bullo si esprime il compiacimento nel dominio e nella affermazione prepotente di sé con offese, minacce, esclusioni, maldicenze, furti, rapine, percosse, intimidazioni e soggiogazioni. Anche in questo caso si può ipotizzare un vero e proprio disturbo di pensiero legato all’introiezione di modelli di comportamento del tutto privi di empatia, che trovano nel sadismo l’unica dimensione emozionale di godimento. La realtà virtuale e le immagini splatter su cui la sua letteratura indugia al fine di mobilitare emozioni in chi le assorbe costruiscono schemi di pensiero in cui la confusione tra l’autentico e lo scherzo si sovrappongono. Ed ecco che il bullo non diviene consapevole dell’orrore del suo gesto. La sua freddezza non perviene a compassione per la vittima, perché la sovrapposizione tra reale e immateriale è diventata per lui una vera e propria forma mentis.
L’operatore relazionale che voglia intervenire per ricostruire una giusta forma del pensiero dovrà agire tramite la capacità di modulazione del ritmo del pensiero del ragazzo. Per modulazione del ritmo del pensiero intendo la possibilità di modellare le onde cerebrali aumentandone e diminuendone la velocità e portandole dalle Alpha alle Beta e alle super Beta in funzione delle tipologie di relazione che si intende proporre e trasferire. L’accelerazione e il rallentamento delle onde cerebrali vanno messe in sintonia con le attività e le scene relazionali che la persona vive, favorendo la biorisonanza interpersonale. Tale biorisonanza accende le potenzialità dei neuroni mirror e apre all’empatizzazione anche i nativi digitali più immersi nella realtà virtuale.
A tal fine si possono utilizzare tecniche di visualizzazione e di focalizzazione o tecniche narrative. Come già detto, le tecniche di visualizzazione inducono rilassamento e aumentano le onde Alpha, rallentando il ritmo del pensiero, fino a indurre stati ipnotici. Rallentano la fuga delle idee e aumentano le performance cerebrali, per esempio migliorando la capacità di risoluzione dei problemi o le capacità mnemoniche. Al contrario, le tecniche di focalizzazione (anche visiva) aumentano la concentrazione e le onde Beta e accelerano il ritmo del pensiero, fino a indurre stati di trance. Le tecniche narrative migliorano la vita relazionale.
Se l’operatore relazionale saprà aiutare il ragazzo a modulare il ritmo e la forma del pensiero, in primis attivando o inibendo le onde Alpha e Beta, poi, se necessario, spingendosi fino alle Theta o alle Gamma, potrà esercitare l’attività di educatore del pensiero in modo relazionale.
La sostanza relazionale indispensabile per contenere le diverse forme di disturbo dissociativo[3] è l’armonia. L’armonia infatti modula qualsiasi forma di dissociazione, perché rimette in gioco gli elementi dei processi psichici che sono rimasti disconnessi, ovvero separati dal resto del sistema psicologico dell’individuo. Qualsiasi stadio di cristallizzazione dissociativa, anche quando si perdano i nessi associativi, le congruenze tra idea e idea, tra idee e risonanza emotiva, o tra contenuto di pensiero e comportamento, può essere riarmonizzata, se ci si affida alla condivisione di senso, anche minima, con chi si è perso nei sintomi della dissociazione: la sensazione della divisione dell’io, l’esperienza di essere fuori dal corpo, la perdita di sensibilità di parti del corpo, la percezione distorta del corpo, la sensazione di essere invisibili, l’incapacità di riconoscersi allo specchio, il distacco dalle proprie emozioni, la sensazione di guardare un film su se stessi, il senso di irrealtà, la sensazione di essere scissi in una parte partecipante e una osservante, la presenza di dialoghi interattivi con una persona immaginaria[4].
Il pensiero dissociato non è originario, viene acquisito attraverso esperienze emotive (o l’assunzione di sostanze psicotrope). Questo tipo di pensiero si innesta come l’innesto in una pianta: per approssimazione (accostando una forma di pensiero mai praticata), come nell’insegnamento; a gemma (trasferendo il bionte di una idea) come nelle intuizioni del problem solving; a marza o a spacco (introducendo uno o più rami di pensiero dopo aver effettuato una apertura mentale nel pensiero dormiente), come nei condizionamenti o nei decondizionamenti effettuati mediante scrittura automatica, training autogeno, esercizi yoga, danze parossistiche, pratiche ascetiche o meditazioni trascendentali. L’immagine dell’innesto a spacco suggerisce una separazione nel flusso unitario del pensiero che rompe l’armonia tra pensiero verticale e pensiero laterale. La successiva polarizzazione sul pensiero laterale, strumento dell’intuito che va a scardinare i modelli preesistenti creandone di nuovi e utilizzandoli per nuove interpretazioni della realtà, a scapito del pensiero verticale, che si basa su un’analisi logica delle problematiche affrontandole secondo modelli preordinati, privilegia una forma di elaborazione mentale cangiante e creativa che può essere appresa stimolando opportunamente la curiosità verso nuove soluzioni[5].
Ciò che accade in molti processi di condizionamento /decondizionamento è la caduta delle difese che tengono uniti i due processi, un’apertura alla empatizzazione verso modi del pensare creativi o divergenti e l’iniziazione a una vita mentale ricca e cangiante ma con una forte componente solipsistica. La mente basta a se stessa nella continua produzione di idee e di immagini mentali isolate rispetto alla relazione con gli altri e con il mondo. Un tale processo può essere utile a chi è immerso nel pensiero ossessivo perché lo libera dalle sue eccessive verticalizzazioni, ma può diventare pericolosissimo per soggetti già inclini alla dissociazione che non distinguono tra la personale esistenza e il mondo.
Processi dissociativi possono essere anche rintracciati negli esiti di traumi per incidenti, violenze, abusi durante i quali il soggetto forza la sua mente per allontanarsi con il pensiero dalla situazione traumatizzante.
I disturbi della forma del pensiero sono molto aumentati in questi anni e rappresentano il problema più grande che la teoria e la pratica relazionale dovrà affrontare; sono infatti problemi più complessi rispetto ai tradizionali disturbi dell’umore e dell’ansia. Il concetto di sostanza relazionale di armonia apre la pista a modi di funzionamento relazionali altalenanti, mediante avvicinamento e allontanamento, introdotto in psicoterapia con il termine “modello dialettico” da Marsha Linehan[6]. Gli innesti delle forme di pensiero richiedono infatti un modello altalenante di ingresso nella dissociazione e di chiusura della scena relazionale mediante nuove associazioni. La rigidità e la fissità di alcune delle tecniche oggi utilizzate, infatti, rischia di produrre ulteriori dissociazioni per opposizione, mentre l’eccessiva tolleranza rinforza le dissociazioni in atto. L’apertura e la chiusura sistematica e ben definita delle scene relazionali è in grado di far superare l’espansione dissociativa mediante innesti di forme del pensiero adeguate alla comprensione della realtà e del sé. La sostanza relazionale dell’armonia è condizione indispensabile per tali innesti e per prevenire la cristallizzazione delle dissociazioni in drammatici disturbi del contenuto del pensiero.
(CFR. slide su DSA e disturbi della forma del pensiero http://www.prepos.it/DSA%20E%20DISTURBI%20DEL%20PENSIERO.pdf )
28/1/2017
[1] Non ho mai condiviso l’entusiasmo con cui vennero accolti gli ipertesti che avrebbero dovuto sostituire le note a piè di pagina, migliorandole. Non è stato così perché le note a piè di pagina hanno la funzione di ospitare una digressione che non può essere semplicemente messa tra parentesi ma non intaccano il percorso logico verticale del discorso. Questa è la ragione per cui ne faccio ampio uso sia nei testi cartacei che in quelli elettronici.
[2] Occorre distinguere tra coincidenze e pensiero magico: nelle coincidenze non esiste causalità, esiste sincronicità, scientificamente interpretabile come l’emergere nel soggetto della evidenza della contemporaneità di due eventi e, quindi, della attribuzione di rilevanza a quegli eventi medesimi. Se mentre accendo la luce squilla il mio cellulare non posso attribuire causalità ai due eventi, posso però fare emergere da dentro di me la preoccupazione di aver dimenticato di chiamare un amico che aspettava la telefonata.
La dimensione del pensiero magico è anche una forma primitiva e superstiziosa di spiritualità, giacché il suo funzionamento, oggi rielaborato dal pensiero new age tramite la legge di attrazione, non presuppone la dimensione relazionale con Dio, che, in qualità di Persona, co-costruisce insieme al nostro pensiero e agire soggettivo sia la realtà che il suo significato. Il pensiero magico esprime la credenza che desiderare o pensare a qualcosa possa avere effetti sulla realtà, e questo non ha alcun senso se non mediante un accordo con Dio. Ovvero attraverso una relazione, e non una semplice legge cosmica universale.
[3] Derealizzazione, depersonalizzazione, amnesia dissociativa, fuga dissociativa, disturbo dissociativo dell’identità.
[4] A fronte di tali sintomi spesso non si può più riferire la dissociazione a una modificazione della forma del pensiero, perché essa può investire anche il contenuto del pensiero stesso assumendo forme di delirio o di allucinazione.
[5] De Bono E., (2001), Creatività e pensiero laterale, Rizzoli, Milano; De Bono E. (2013), Sei cappelli per pensare: Manuale pratico per ragionare con creatività ed efficacia, Rizzoli, Milano.
[6] Linehan M., (2011), Trattamento cognitivo comportamentale del disturbo borderline, Raffaello Cortina, Milano.
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